Negli anni del secondo dopoguerra continua e si irrigidisce la repressione culturale: la letteratura deve essere orientata esclusivamente all’esaltazione patriottica della vittoria e al consolidamento dell’ideologia comunista, perciò sono banditi il pessimismo, l’insoddisfazione, l’introspezione, così come qualsiasi elemento occidentale. Solo alla morte di Stalin (1953) inizia lentamente ad aprirsi una nuova era: diminuisce la censura, vengono permessi temi nuovi, vengono riammessi molti scrittori espulsi dal Paese, vengono pubblicate opere prima proibite e si manifesta una prima apertura verso le opere occidentali. Emblema di questa stagione di speranza e trasformazioni è il romanzo Il disgelo di I. G. Ėrenburg, incentrato proprio sui rapporti tra arte e autorità. Tuttavia il partito non abbandona del tutto il controllo sulla letteratura, e i testi di serio dissenso devono essere ancora pubblicati clandestinamente, aiutati dalla prima diffusione delle nuove tecnologie, o all’estero (per esempio Tutto scorre, di V. S. Grossman, pubblicato in Germania). La caratteristica principale di questa “letteratura del disgelo”, clandestina o no, è il recupero della memoria, cioè la rievocazione della storia recente.
Un’illusione di rinascita della libertà di parola viene data, all’inizio degli anni Sessanta, dalla pubblicazione autorizzata, in rivista, del romanzo Una giornata di Ivan Denisovič di Aleksandr Solženicyn (nella translitterazione approssimata italiana più comune: Solgenitsin), che descrive la terribile realtà dei gulag, rendendoli noti a tutto il mondo. Subito dopo, però, il cambiamento di scena politica, con la destituzione di Kruscev (Chruščëv), chiude il breve periodo di distensione: Solgenitsin è costretto a pubblicare all’estero tutte le sue opere successive (come Arcipelago Gulag a Parigi) e non può accettare il premio Nobel che gli viene assegnato nel 1970, poi viene arrestato ed espulso dal Paese. Questo avvenimento è seguito, negli anni Settanta, dalla nomina di Brežnev a capo del partito, circostanza che segna un ulteriore passo indietro nel processo di destalinizzazione e un ritorno a un clima di rigida censura. Questa verrà meno definitivamente solo con il crollo del mondo comunista (1991), a seguito del quale il risveglio della letteratura avviene con il rifiuto di qualsiasi regola e forma letteraria precostituita, sulla linea del postmodernismo occidentale, e con la preferenza per l’ironia e la parodia, usate per rappresentare l’orrore della realtà. Il mondo della produzione letteraria si avvia verso una ripresa inizialmente difficile e disordinata, anche perché l’editoria russa deve fare i conti per la prima volta con la logica del mercato, quindi calibrare le tirature, definire linee culturali, scoprire e assecondare mode prima sconosciute (come quella del poliziesco, di grande successo in tutti i mercati in questa fase).
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