Seneca è una personalità decisiva dell’età giulio-claudia non solo in quanto scrittore, ma anche come filosofo e uomo politico.
Il rapporto di Seneca con il potere è contrastato: condannato a morte e poi graziato da Caligola, viene esiliato in Corsica da Claudio, con l’accusa di adulterio con la sorella del precedente imperatore.
Durante gli otto anni di esilio, Seneca si dedica completamente alla scrittura dei Dialoghi (Dialogorum libri), scritti filosofico-morali impostati come dialoghi con interlocutori fittizi che sviluppano ciascuno, in maniera dialettica, un tema della filosofia stoica (per esempio il De brevitate vitae, che spiega come la vita sia breve solo se non la si utilizza con saggezza, o il De ira, che spiega come dominare le passioni).
Tornato dall’esilio, Seneca diventa precettore di Nerone e lo assiste nei primi anni di regno. Messo poi in disparte dalla politica sempre più autoritaria di Nerone, Seneca può serenamente dedicarsi al suo capolavoro, le Lettere a Lucilio (Epistulae ad Lucilium), sintesi del pensiero filosofico di Seneca che esplorano in profondità le inquietudini e le contraddizioni dell’animo umano partendo dalle esperienze degli interlocutori per approdare a considerazioni generali su temi quali la funzione della filosofia, l’amicizia, la morte, la schiavitù.
Emblematico della “fede” stoica di Seneca è anche il suo suicidio, sospeso tra mito e realtà: quando viene scoperta la congiura antineroniana di Pisone, il filosofo, sospettato di un coinvolgimento e destinato alla morte, decide di togliersi la vita per affermare la propria libertà spirituale e intellettuale e conservare la propria integrità morale. Celebre è il racconto dello storico Tacito, secondo il quale Seneca si sarebbe fatto tagliare le vene e avrebbe atteso la morte sereno, dispensando insegnamenti ai suoi discepoli.
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