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Il Cinquecento

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A partire dalla seconda metà del Quattrocento e in particolare nella prima metà del Cinquecento la riflessione filosofica e artistica dell’umanesimo raggiunge la sua massima espressione dando origine alla fase culturale del Rinascimento. In questo periodo, la fioritura delle arti e degli studi ottiene grande impulso dal mecenatismo delle corti signorili.

Si affermano definitivamente la visione laica del mondo, l’idea della centralità dell’uomo nell’universo e della sua possibilità di rendersi artefice della propria fortuna grazie alla ragione. Queste convinzioni sono rafforzate dagli avvenimenti clamorosi che caratterizzano quest’epoca: la riforma protestante, le scoperte geografiche, l’invenzione della stampa, le guerre e i rivolgimenti politici che fanno dell’Italia terra di conquista, contesa da Francia e Impero asburgico.

Dal punto di vista artistico-letterario, la riscoperta della cultura classica impone la bellezza e la natura come valori guida, e conduce alla definizione di un preciso modello linguistico-espressivo, fondato sull’ideale del classicismo. Questo prevede l’imitazione della raffinatezza e dell’armonia della letteratura classica anche in lingua volgare. La volontà di stabilire un canone preciso a cui adeguare l’imitazione porta in primo piano il problema della codificazione della lingua letteraria italiana, aprendo il dibattito sulla “questione della lingua”.

Il principale protagonista di questo dibattito è Pietro Bembo, filologo e scrittore in latino e in volgare. Egli sostiene la necessità di definire regole grammaticali precise, ricavate da modelli autorevoli, per stabilire e diffondere una lingua letteraria italiana unitaria, al di sopra dei vari volgari locali. Bembo espone la sua teoria nel trattato Prose della volgar lingua, considerato da molti autori l’atto di nascita della lingua italiana. In esso, Bembo stabilisce come lingua nazionale il toscano letterario trecentesco di Boccaccio e Petrarca e detta le regole grammaticali in base ai testi di questi autori, stabiliti come classici. Bembo include Dante nella triade dei grandi scrittori del Trecento, ma lo ritiene inadatto come modello espressivo per lo sperimentalismo e l’ibridismo della sua lingua, che non rispecchiano l’ideale di armonia e raffinatezza.

Un noto esempio dell’influenza del Bembo è Il Galateo overo de’ costumi, noto comunemente come Galateo, un’opera che introdusse nella lingua l’omonimo termine come sinonimo di regole del viver civile; Giovanni Della Casa scrisse il breve trattato in una lingua che rispecchia una completa ricezione della lingua toscana quale modello proposto pochi anni prima dal Bembo.

La proposta linguistica di Bembo, grazie alla sua chiarezza, si impone nella società letteraria a discapito di quella della lingua mista delle corti, che unisce in sé le componenti più eleganti di tutti i volgari, e di quella del fiorentino contemporaneo. Quest’ultima è sostenuta, per esempio, da Niccolò Machiavelli, principale esponente della prosa rinascimentale, mentre il poeta più significativo del periodo, Ludovico Ariosto, cercherà di adeguarsi alle indicazioni di Bembo.

Alla metà del secolo, il clima della controriforma trasforma il classicismo in una sterile e rigida precettistica, che si riflette nelle difficoltà del tormentato percorso artistico di Torquato Tasso.

 

Manuale di cultura generale – Letteratura italiana – Il Cinquecento – Continua

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