Giovanni Pascoli è uno dei protagonisti del rinnovamento della lirica italiana che avviene tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il poeta infatti si inserisce pienamente e originalmente nello sviluppo del simbolismo europeo.
Pascoli nasce a San Mauro di Romagna a metà del XIX sec. e la sua infanzia è sconvolta a undici anni dall’assassinio del padre in un agguato, che sarà oggetto della celebre poesia X agosto, e dalla morte di poco successiva della madre e di alcuni fratelli. Dopo alcuni anni negli ambienti anarchici socialisti, che gli costano anche un arresto, Pascoli riprende gli studi e una volta laureato inizia a insegnare e a dedicarsi alla poesia. Sin dalla prima raccolta, Myricae, di cui X agosto fa parte, l’autore rinnova dall’interno la poesia italiana: nella poesia pascoliana domina il mondo delle piccole cose, testimonianza del senso di precarietà della condizione umana di fronte al mistero della natura, esplorato attraverso un linguaggio evocativo, allusivo e ricco di suggestioni fono-simboliche. Lo sguardo di un bambino mai diventato adulto sviluppa i temi della memoria, dell’infanzia, del sogno e della morte, privandoli della morbosità e dell’erotismo decadenti. Malinconica senza cadere nel sentimentalismo è la rievocazione di paesaggi e persone care. Questa poetica è espressa emblematicamente dalla riflessione sviluppata dall’autore nel testo Il fanciullino.
Le stesse atmosfere si ritrovano successivamente nella raccolta Canti di Castelvecchio, a cui appartiene i celebri componimenti La mia sera e La cavalla storna (un’altra poesia in ricordo dell’omicidio del padre: O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; l’aggettivo storno si riferisce al mantello del cavallo quand’è di colore prevalentemente nero con piccole macchie di peli bianchi sparse a gruppi). Sono queste prime raccolte a fare di Pascoli un poeta di passaggio, interprete di una crisi di certezze che sarà emblematicamente novecentesca e si rifletterà nell’opera dei crepuscolari.
La seconda fase della produzione di Pascoli coincide con la sua successione a Carducci nella cattedra di letteratura italiana all’università di Bologna, dai primi anni del Novecento, ed è dominata dal mito classico, storico o civile. In questa città, il poeta rimane fino alla morte nel 1912.
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