L’accento è un segno posto sopra una lettera per mettere in rilievo una sillaba della parola; può essere dinamico, se si aumenta l’intensità, oppure musicale, se si aumenta l’altezza della voce.
Ogni lingua li possiede entrambi, ma, a seconda dell’abitudine, percepisce l’uno o l’altro; per esempio, nel greco e nel latino classici gli accenti vengono avvertiti come musicali, mentre nell’italiano sono chiaramente intensivi.
L’accento può essere acuto (chiusura del timbro, per esempio sulla prima e di mése), grave (apertura del timbro, per esempio sulla o di fuòri), circonflesso (un accento doppio che deriva da una contrazione di vocali; in italiano è caduto quasi del tutto in disuso, tranne in casi particolari come la resa dei plurali in -io come varii -plurale di vario- che può essere reso varî).
La sillaba che porta l’accento è detta tonica; le sillabe prive di accento sono dette invece sillabe atone.
Polisillabi – Le parole composte di due o più sillabe si dicono tronche (prenderò) se l’accento cade sull’ultima sillaba, piane se cade sulla penultima (mese), sdrucciole se cade sulla terzultima (cavolo), bisdrucciole (delegano) se cade sulla quartultima. Nell’ortografia dell’italiano l’accento tonico è obbligatorio solo sulle parole tronche.
Monosillabi – I monosillabi possono essere pronunciati con un accento proprio (monosillabi forti) oppure possono non avere accento proprio (deboli) e si appoggiano all’accento tonico della parola che segue o che precede (sono deboli per esempio gli articoli il o la).
In italiano l’accento grafico si indica solo su monosillabi che altrimenti si confonderebbero con altri che hanno la stessa grafia. Normalmente viene accentato quello di uso meno comune; per esempio fra la voce del verbo dare dà e la preposizione da si accenta la prima. Un errore molto comune è accentare monosillabi che non si confonderebbero con nulla (per esempio è corretto egli va, dove la voce del verbo andare non ha accento).
Da notare che nella regola sopraesposta i simboli tecnici (simboli chimici, note musicali ecc.) non si considerano e usualmente non hanno accento. Per esempio, il fiume Po è termine tecnico (geografico), per cui il troncamento di poco non va accentato, ma si usa l’apostrofo per indicare che la parola si ottiene per troncamento di poco: un po’.
Nel caso del monosillabo se, esso è accentato quando indica il pronome riflessivo mentre non lo è quando indica la congiunzione. Quindi se domani piovesse, ma Luigi era fuori di sé. Dopo stesso (e stessi e stesse), in questi casi il pronome è scritto spesso, ma senza valide ragioni che lo giustifichino, senza accento: se stesso; è invece corretto sé stesso.
I monosillabi accentati hanno generalmente accento grave (come la voce del verbo essere è); hanno accento acuto alcuni francesismi, i composti con -che (perché, benché, affinché ecc.), sulle forme di passato remoto (batté), i composti di tre (ventitré), i monosillabi sé e né.
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