I nomi in -ca e -ga hanno il plurale maschile in -chi e -ghi (monarca/monarchi, collega/colleghi) e il plurale femminile in -che e -ghe (barca/barche, collega/colleghe).
Infine (regola di Gabrielli) i nomi in -cìa e -gìa (sulla i cade l’accento), tutti femminili, hanno il plurale in -cìe e -gìe (farmacia/farmacie, bugia/bugie) mentre per quelli in -cia e -gia (sulla i non cade l’accento), anch’essi tutti femminili:
- quando -cia e -gia sono preceduti da una vocale il plurale sarà -cie, -gie (ciliegia/ciliegie);
- quando -cia e -gia sono preceduti da una consonante il plurale si scriverà -ce, -ge (traccia/tracce).
Sono accettate con riserva forme ormai in disuso come provincie, ciliege ecc. Si devono attribuire o a ignoranza linguistica o a vecchie consuetudini (per esempio all’interno della prima versione della Costituzione Italiana viene utilizzato il plurale provincie).
La questione è meramente ortografica: al plurale, infatti, la i non viene pronunciata (come nel singolare) e non serve nemmeno a indicare la corretta pronuncia della c e della g (come invece accade nel singolare); dunque potrebbe essere eliminata sempre. E questo accade, in una situazione analoga, con i nomi che terminano con la sillaba –scia non accentata (conscia/consce, coscia/cosce, fascia/fasce). Invece, nel caso in cui la i del gruppo -scia sia accentata, al plurale si conserva sempre: scìa/scìe).
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