Prima di Einstein, coerentemente con il pensiero di Galileo e di Newton, lo spazio e il tempo erano considerati grandezze assolute.
Se siamo a bordo di un’automobile e un’altra auto ci affianca alla nostra stessa velocità, questa macchina ci sembrerà ferma, anche se noi sappiamo che sta viaggiando a x km/h, la nostra velocità.
Per determinare la velocità di un corpo dobbiamo scegliere un punto di riferimento e una terna di assi orientati nelle tre direzioni spaziali (se misuriamo la velocità in una sola direzione ovviamente basta un asse) che partono dal punto rispetto al quale vogliamo misurare la velocità. Abbiamo poi bisogno di un’origine dei tempi rispetto a cui misurare gli intervalli di tempo.
Se siamo a bordo di un veicolo che si muove a velocità costante, non riusciamo a capire se il veicolo si muove o no se non riusciamo a rapportarci con qualcosa che è al di fuori del veicolo (per esempio, se vediamo che il paesaggio si allontana, capiamo che ci stiamo muovendo).
Se vogliamo misurare la velocità di una palla che si muove sul nostro veicolo, anch’essa a velocità costante, otterremo un certo risultato v1; un osservatore a terra in realtà vedrebbe la palla spostarsi nel suo riferimento a una velocità che è la somma di v1 e v2, dove v2 è la velocità del veicolo.
Il nostro veicolo è un sistema inerziale, cioè un sistema in cui un corpo in quiete o in moto rettilineo uniforme permane nella sua condizione fino a quando non interviene una forza che ne modifica lo stato; per un tale sistema di riferimento vale quindi il principio di inerzia (se la risultante delle forze esterne applicate a un corpo è nulla, esso è fermo oppure si muove di moto rettilineo uniforme); un sistema rotante per esempio non è un sistema inerziale.
Nella meccanica classica, nei sistemi inerziali valgono le trasformazioni di Galileo che descrivono come si trasformano le coordinate spaziali di un corpo quando si passa da un riferimento inerziale a un altro (quelle che permettono di passare dalle coordinate della palla misurata sul veicolo a quelle misurate da un osservatore a terra).
Alla fine del XIX sec. un celebre esperimento di Michelson e Morley mise in crisi la fisica classica distruggendo il preesistente concetto di etere (un mezzo che consentiva la propagazione delle onde nello spazio) e mostrando che la velocità della luce era costante.
Einstein superò le difficoltà collegate alla teoria dell’etere nella sua teoria della relatività ristretta:
- le leggi della fisica non cambiano quando si passa da un riferimento inerziale a un altro;
- la velocità della luce nel vuoto (c), è la stessa per qualsiasi osservatore, fermo o in movimento, è indipendente dalla velocità della sorgente ed è la massima velocità raggiungibile.
All’inizio del XX sec. Einstein sostituì alle trasformazioni di Galileo quelle di Lorentz; in esse compare la radice quadrata di (1-v2/c2). Quando la velocità v del corpo è molto lontana da c, la radice quadrata è uguale a 1 e, praticamente, valgono le trasformazioni di Galileo, ma quando è prossima a c, il valore della radice aumenta e si avvicina addirittura a zero: il tempo si dilata e lo spazio si contrae, perdendo la caratteristica di grandezze assolute.
Come conseguenza diretta delle precedenti riflessioni, la relatività ristretta introdusse il concetto di spaziotempo, stabilendo un’equivalenza fra lo spazio e il tempo. Nella visione classica dello spazio le sue tre dimensioni componenti sono equivalenti e omogenee fra loro e relative all’osservatore (un osservatore può considerare qualcosa avanti o dietro mentre un altro, disposto diversamente, può considerarlo destra o sinistra); nella visione relativistica la dimensione temporale (prima-dopo) è assimilata alle tre dimensioni spaziali e viene percepita in modo diverso da osservatori in condizioni differenti.
Gli eventi sono i punti dello spaziotempo e ciascuno di essi corrisponde a un fenomeno che si verifica in una certa posizione spaziale e in un certo momento. Ogni evento è perciò individuato da quattro coordinate, tre spaziali e una temporale.
Nell’articolo con cui Einstein introdusse la relatività ristretta viene esaminata non solo la relazione fra spazio e tempo, ma anche quella fra massa ed energia, unificando anch’esse nella nota formula E=mc2.
L’equazione non afferma che energia e massa sono uguali, ma che la massa può essere convertita in energia, o viceversa, attraverso un fattore moltiplicativo che è la velocità della luce al quadrato. Per esempio, se un corpo emette un’energia E sotto forma di radiazione, la sua massa m diminuisce di una quantità E/c2.
Tale formula ha una grande importanza nelle reazioni nucleari e nei decadimenti radioattivi. Poiché la velocità della luce al quadrato vale 9×1016, una piccolissima quantità di massa può trasformarsi in una grandissima quantità d’energia; ciò permette a una stella di brillare per miliardi di anni trasformando, attraverso le reazioni nucleari, una piccolissima parte della sua massa in un’enorme quantità di energia.
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