Come già per Socrate, anche per Platone (che comunque non è contrario alla divulgazione scritta del messaggio) le idee centrali del proprio pensiero devono essere trasmesse oralmente. Deroga da questo suo convincimento per quanto riguarda la parte centrale del suo pensiero, la teoria delle idee. Per Platone (IV sec. a.C.) a ogni dato sensibile corrisponde un’idea che ne è la causa e la ragione; per esempio, le cose belle sono tali perché partecipano dell’idea del Bello. Le idee non risiedono nel mondo sensibile, ma nell’iperuranio (cioè la zona del cielo al di là della volta celeste).
Le idee sono molteplici e sono ricondotte da principi primi e supremi: l’Uno, coincidente con il Bene, e la Diade grande-piccolo, da cui derivano la differente realtà delle cose e, a livello sensibile, il divenire. Mentre le idee sono tali da sempre, il mondo è tale solo per l’intervento di un’intelligenza suprema, la figura mitologica del demiurgo.
La dottrina dell’amore è collegata alla ricerca dell’Uno, che a livello sensibile si manifesta come Bello: l’innamorato, come il filosofo, soffre del suo stato, ma cerca di superarlo rivolgendosi alla bellezza e all’immortalità.
Platone
Platone dimostra l’immortalità dell’anima, poiché è dello stesso genere delle idee, dal momento che le conosce. Le sorti dell’anima sono cicliche: viene premiata o punita a seconda della vita condotta sulla terra e in tempi determinati si reincarna (metempsicosi).
Circa il problema della conoscenza, affrontandolo con la dialettica, Platone non arriva a una vera e propria conclusione, ma definisce ciò che non è il sapere: non è né sensazione, né semplice opinione vera, né opinione vera accompagnata da ragione.
Nel Timeo è contenuta una cosmogonia dell’universo, del dio vivo e sensibile. Platone, partendo da principi generali dell’intelligibilità, mostra come da questi sia possibile costituire la realtà grazie all’uso della dialettica. Egli parla dell’universo, dell’anima e delle varie specie di esseri viventi, dagli dei alla specie acquatica, a quella terrestre. A proposito dei terrestri, Platone analizza il meccanismo e lo scopo degli organi di senso e l’organizzazione del corpo umano. In questo modo deduce l’anatomia, la fisiologia, le patologie umane ecc. In questo testo, il metodo dimostrativo di Platone utilizza immagini o allegorie e racconti mitologici. Platone ricorre spesso al mito perché esso, con la sua narrazione leggendaria, arricchisce la dialettica, ne accresce il vigore e l’espressività senza contraddirne la logica. Questa funzione del mito risulta molto efficace nell’analisi del destino dell’umanità, all’interno del cosmo.
Nella Repubblica, una sorta di manuale per gli studenti dell’Accademia (la scuola da lui fondata nei pressi di Atene nei giardini di Academo), Platone si pone il problema di identificare, se possibile, quale tipo di comportamento individuale, politico, religioso, un uomo debba avere perché si possano realizzare l’ordine, la ragione, la giusta corrispondenza tra l’organizzazione del cosmo, quella della città e la gerarchia dell’anima.
Il tema di questo imponente dialogo è dunque triplice: si devono determinare la giusta condizione dell’anima, il decreto politico che l’esprime e la rende possibile e la vera essenza della realtà; celebre il mito della caverna. Platone delinea anche le caratteristiche di una città ideale, Kallipolis, la sua organizzazione, il posto occupato e la funzione svolta dai vari cittadini. Nello stesso tempo però, nel libro VIII, Platone illustra ciò che porterà inevitabilmente questa città ideale, ammesso che si sia riusciti a formarla, verso la rovina.
Il pensiero platonico viene poi ripreso più volte finché nei secc. II-IV d.C. (scuole neoplatoniche), si elabora una sistematizzazione del platonismo in una visione gerarchica del reale.
Il mito della caverna
Fra i molti miti descritti da Platone (mito dell’androgino, della biga alata ecc.) quello della caverna è il più celebre.
In esso c’è un riassunto della filosofia di Platone (differenza tra mondo sensibile e iperuranio; scopo della filosofia; il bene che sovrasta tutte le altre idee).
Il mito parla di un gruppo di prigionieri che hanno sempre vissuto in una caverna, legati sul fondo in modo che possano guardare solo in avanti, fissando la parete davanti a loro. Fuori dalla caverna, lontano brilla un fuoco e fra il fuoco e i prigionieri scorre una strada rialzata con un muro ad altezza d’uomo. Dietro di esso camminano delle persone che portano diversi oggetti, alcuni dei quali sporgono un po’ dal muricciolo; alcune persone parlano, altre stanno zitte. Il fuoco proietta le immagini degli oggetti sulla parete della grotta che si trova davanti agli uomini legati.
Non avendo conoscenza del mondo esterno, i prigionieri, osservando le ombre, pensano che questa sia la realtà e che le voci che sentono siano attribuibili alle ombre.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e si rivolga verso l’esterno della caverna: verrebbe abbagliato dalla luce del fuoco e le forme portate dagli uomini lungo il muro gli sembrerebbero meno reali delle ombre a cui è abituato. Se poi fosse costretto a uscire dalla caverna, riuscirebbe a guardare i veri oggetti, prima, per esempio, attraverso il loro riflesso nell’acqua e poi, direttamente, quando sarà riuscito a sostenere la luce del sole; passerà poi a guardare nel cielo i corpi celesti ecc.
Resosi conto della situazione, egli vorrebbe tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, verso i quali ora prova pietà. Il difficile sarebbe quello di convincerli a diventare liberi, ritenendo essi che lui abbia ormai gli “occhi rovinati” al punto tale da essere deriso e addirittura ucciso per le sue rivelazioni.
L’interpretazione del mito passa attraverso i vari stadi del prigioniero: l’uomo è prigioniero dell’opinione perché crede passivamente alle immagini delle cose sensibili, cioè alle ombre delle forme proiettate sulla parete della caverna. Poi, liberatosi, ma ancora nella caverna, anche quando osserva direttamente le forme degli oggetti che scorrono dietro il muro, è ancora legato all’opinione a causa del divenire dell’esistenza. Quando esce e, dopo un po’, riesce a sostenere la luce, entra nell’intelligibile quando passa all’osservazione diretta. Infine, quando osserva le stelle e la luna, approda al mondo della conoscenza grazie all’intelletto (intellezione) e giunge a scorgere l’idea del Bene in sé.
La parte finale del mito si riferisce al processo che Socrate dovette subire: il mito diventa una metafora della vita di Socrate, che riuscì a risalire la strada verso la verità, ma venne ucciso per aver tentato di portarla agli uomini, incatenati al mondo dell’opinione.
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