La fenomenologia, fondata da Husserl, è una delle correnti filosofiche più importanti del XX sec. Ponendosi il problema della conoscenza, Husserl distingue tra conoscenza scientifica e conoscenza filosofica; la prima è ingenua e acritica perché assume come vero ed esistente a priori la realtà esterna, senza porsi il problema del fondamento della conoscenza stessa, colpevole della crescente disumanizzazione del mondo moderno.
Husserl propone la teoria dell’intenzionalità come strumento privilegiato di analisi. Ogni coscienza è “coscienza di” (a prescindere dalla realtà dell’oggetto) e, per poter giungere a formulare l’esperienza in proposizioni universali, ci si deve ricondurre all’idea (eidos), oggetto di una particolare intuizione. Nasce poi l’esigenza di prescindere dal senso comune, dalla teorizzazione scientifica e dal condizionante atteggiamento naturale (si presuppone l’esistenza di una natura) che inquadra e categorizza la realtà secondo presupposti impliciti. Si deve mettere il mondo tra parentesi (sospendere il giudizio, in greco epochè), attuare la “riduzione fenomenologica”, per arrivare a un piano descrittivo puro e approdare a un’evidenza apodittica, tale cioè da non poter essere rifiutata. Gli oggetti sono delle unità di senso che si costituiscono nell’esperienza e l’intenzionalità diventa il rapporto tra il noéma (l’oggetto) e la noési (la soggettività cosciente). La fenomenologia diventa la scienza descrittiva di quanto appare all’evidenza immediata (“torniamo alle cose stesse”).
Al movimento fenomenologico sono riconducibili anche Scheler, che ne utilizza il metodo d’indagine in funzione etica, e Hartmann, che con la fenomenologia rilancia la necessità di un’ontologia.
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