In campo lavorativo, la staticità può dipendere da una personalità statica o da una mancanza di coraggio.
Lo statico è colui che ritiene poco importante o inutile l’aggiornamento. Ovviamente, l’handicap della staticità è tanto maggiore quanto più il campo d’azione muta velocemente; è proprio l’errata percezione del mutamento che rende un soggetto statico.
In genere, tutti sono d’accordo sul fatto che, se non ci si aggiorna, più passa il tempo, più diventa difficile essere competitivi nel proprio lavoro, ma molte persone “non vedono” la loro obsolescenza e continuano a pensare che il loro lavoro sia vincente. Può essere per pigrizia (studiare e aggiornarsi costa fatica) o per vecchiaia (“ai miei tempi le cose andavano meglio e quindi perché cambiare anche nel lavoro?”), ma si crede fermamente che “cambiare non serva a molto”.
Chi non percepisce i cambiamenti che ci sono nella propria attività lavorativa può incorrere in uno dei seguenti errori:
- continuare nel proprio lavoro anche quando il settore sta contraendosi sempre di più. Soluzione: cambiare lavoro in tempo!
- usare mezzi ormai superati. Soluzione: aggiornarsi!
Se il secondo punto è ovvio, ma legato al lavoro specifico, il primo è molto più generale e attuale. Con la globalizzazione e i progressi tecnologici è spesso impensabile di poter fare lo stesso lavoro per tutta la vita. Si pensi al mondo dell’editoria: enciclopedie e mappe stradali sono ormai state sostituite da nuovi strumenti che di cartaceo hanno ben poco; gli stessi libri cartacei incominciano a subire qualche colpo dagli e-book, anche se nel nostro Paese il sorpasso sembra ancora lontano.
Chi non è abbastanza flessibile e non salta giù dalla nave che affonda, in tempo per prenderne una più sicura, è probabilmente destinato a soffrire la propria situazione lavorativa. Lo stesso discorso vale anche per chi entra nel mondo del lavoro: a prescindere dagli studi fatti o dalle competenze acquisite, è importante chiedersi se non si è superati dal tempo. Se sì, non c’è che un modo di sopravvivere (prima di tornare a vivere alla grande): ricominciare da un altro punto di vista.
Il lavoro è strettamente collegato alla qualità della vita; purtroppo molte persone mancano del coraggio necessario a migliorare il proprio lavoro e, di conseguenza, la propria qualità della vita. Se vogliamo, la mancanza di coraggio è il difetto opposto all’investimento avventato. Come riconoscere un atteggiamento troppo rinunciatario ai miglioramenti lavorativi?
In genere, il lavoratore si “accontenta” del posto che ha, ne vede i difetti, ma li minimizza, “tanto ci è abituato”. Così il pendolare fa il pendolare tutta la vita e il Fantozzi di turno muore alla sua scrivania, anche se per decenni si è lamentato dell’ambiente di lavoro, dei colleghi ecc.
Chiedersi “cosa mi piacerebbe cambiare nel mio lavoro?” è il primo passo di una strategia coraggiosa; il secondo è spulciare l’elenco e, senza condizionamenti o pregiudizi, rimuovere ciò che è concretamente rimovibile.
Se si scopre che si passano troppe ore in auto, forse è il caso di rivedere la geografia del proprio lavoro. Se un ramo della nostra attività ci procura troppi problemi, forse è il caso di tagliarlo, potenziandone altri. Se si perde tempo in troppi inutili appuntamenti, forse è il caso di pensare a un filtro sugli stessi. Ecc.
Per approfondire
Gli altri articoli del nostro “Manuale di sopravvivenza sul lavoro“: