L’ossimoro (pronuncia: ossìmoro, più raramente, ma comunque sempre correttamente, ossimòro) è una figura retorica che consiste nell’accostamento, nella medesima espressione, di termini dal significato opposto allo scopo di ottenere un paradosso apparente; il termine è di origine greca (deriva da oxymoron, composto da oxis, acuto, e moros, ottuso) ed è in sé stesso un ossimoro. Ricordiamo che le figure retoriche sono delle espressioni letterarie molto particolari, degli artifici che hanno come scopo principale quello di creare un particolare effetto all’interno della frase, una deviazione dal linguaggio comune, un interessante e al contempo sorprendente contrasto.
Non esiste un vero e proprio sinonimo di questo termine.
Ossimoro – Esempi
Noti esempi di ossimoro sono i seguenti
- convergenze parallele (espressione usata nel linguaggio politico con la quale ci si vuole di solito riferire che a due forze politiche opposte può capitare di dover convergere su alcuni punti; coniata da E. Scalfari, la locuzione viene spesso attribuita ad Aldo Moro)
- ghiaccio bollente (per riferirsi a una donna dall’atteggiamento piuttosto freddo, ma proprio per questo motivo, molto seducente)
- illustre sconosciuto (espressione con la quale si indica una persona ignota che tenta di raggiungere la fama oppure chi è diventato improvvisamente famoso)
- lucida follia (quando si agisce da folli pur essendo in piena lucidità mentale)
- morto vivente (persona priva di personalità, abulica, insignificante)
- silenzio eloquente (un silenzio che si fa capire più di lunghi discorsi).
L’ossimoro in letteratura
Nella letteratura sono moltissimi gli esempi di ossimoro; fra i tanti possiamo citare i seguenti:
- vergine madre (Dante)
- dotta ignoranza (Cusano)
- felice colpa (felix culpa, Sant’Ambrogio, a proposito del peccato originale)
- viva morte (Petrarca)
- dilettoso male (Petrarca)
- provvida sventura (Manzoni)
- festina lente (Svetonio)
- dolcezza inquieta (Montale).
Inglese: oxymoron.