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Errori affettivi

Praticamente ogni personalità critica può dar origine a una serie di gravi errori raziologici di tipo affettivo (errori affettivi). Di seguito evidenziamo quelli più comuni, legandoli alla rispettiva personalità.

Errore d’irrazionalità

Tipico della personalità irrazionale e, a volte, di quella semplicistica. Vengono prese assiomaticamente per veri, per fondati, concetti che razionalmente non hanno fondamento. Per esempio l’astrologia, la magia, la superstizione. I vari casi sono così importanti da essere trattati a sé.

Errore romantico

Tipico della personalità romantica. Si decide in base ai sentimenti, privilegiandoli alla ragione. Si può descrivere sinteticamente l’errore romantico dicendo che il soggetto rifiuta la gerarchia di Albanesi.

Di fatto, molte persone non la rifiutano in toto, ma sono solite lasciar prevalere i sentimenti in casi comunque non ben definiti, semplicemente perché “sentono” che “qualche volta la ragione deve cedere il passo”, che “la ragione non può spiegare tutto” (ma non per questo si dovrebbe ricorrere alla “certezza” dei sentimenti, sarebbe più razionale sospendere il giudizio!) ecc.

L’errore romantico ha ricadute tanto più gravi quanto più si è coinvolti nella decisione; non per niente di una persona innamorata si dice che ha perso la testa. Ma senza testa spesso si fa una brutta fine…

Un esempio importante di errore romantico è la risonanza sentimentale.

Errore fobico

Tipico della personalità dei fobici. Si decide in base alla strategia di evitare l’evento più negativo, a prescindere dalla sua probabilità di verificarsi. Ne è un tipico esempio l’errata applicazione del cosiddetto principio di precauzione.

Errore di patosensibilità

errori affettiviTipico dei patosensibili. Il giudizio morale altera la razionalità della scelta.

Un caso particolare di errore di patosensibilità è l’argumentum ad misericordiam, nel quale è la pietà che forza la decisione: X è presentato in modo da indurre a pietà, quindi X è buono.

Un esempio molto discusso dai neuroscienziati è il seguente.

Primo scenario. Un vagone ferroviario sta procedendo verso cinque persone che saranno uccise dall’impatto. Hai la possibilità di azionare una leva che devierà il treno verso un binario morto dove ucciderà una persona. Che fai? Azioni la leva?

Secondo scenario. Non hai la leva a disposizione perché stai osservando la scena da un ponte insieme a un uomo molto corpulento. Intuisci che buttando l’omone giù dal ponte devieresti il vagone e salveresti le cinque vite. Che fai? Lo butti?

Ho letto diverse versioni di questo dilemma e francamente devo dire che è sconfortante vedere non come ragiona male la gente comune, ma come ragionano male scienziati o presunti tali, a riprova che la razionalità manca spesso anche a loro. A dire il vero, ho notato che la mancanza di razionalità è maggiore dove più alta è la componente filosofica dello scienziato.

Per esempio, J. Greene (Princeton University) ritiene del tutto normale che si azioni la leva nel primo caso e non si butti l’omone nel secondo perché le nostre emozioni diventano predominanti nella decisione. L’errore di Greene è pensare che “per tutti è così” (errore di generalizzazione). In realtà, esperimenti successivi (fra cui alcuni condotti dallo stesso Greene) hanno mostrato che in alcune persone (non patosensibili) si ha un’attivazione di una parte del cervello che sovrasta la primitiva scelta emozionale e l’omone vola giù “perché una vita persa è meglio che perderne cinque”. Greene e i sostenitori dell’intelligenza emozionale sostengono che il tempo comunque più lungo per decidere di buttar giù l’omone rispetto a quello di azionare la leva sia la prova che “comunque le emozioni intervengono”. In realtà, non considerano che la motivazione di quel tempo più lungo risiede banalmente nel fatto che un soggetto razionale valuta sempre le conseguenze del suo gesto, non solo come risultato esterno finale (cinque vite contro una), ma anche a livello personale con domande del tipo: “cosa mi accadrà se uccido direttamente una persona, anche per salvarne cinque?”.

In realtà, ciò che è rilevante è che i soggetti razionali hanno applicato la gerarchia di Albanesi e hanno comunque deciso di buttar giù l’omone o di non buttarlo per le eventuali ripercussioni legali su di loro (se, per esempio, fra i cinque da salvare ci fosse una persona amata, aumenterebbe a dismisura la percentuale dei razionali che, legge o non legge, butterebbero giù l’omone).

Errore di semplificazione

Tipico, ma non esclusivo, della personalità semplicistica. È causato dal cercare un modello di descrizione della realtà troppo semplificato, dove tutto è ricondotto a pochi concetti di solito banali e facilmente comprensibili. I dati dell’esperienza vengono spesso volutamente ignorati in favore della visione semplificata dell’ambiente in cui ci si muove. È una generalizzazione della classica falsa dicotomia: esistono solo il bianco o il nero; X non è bianco quindi è nero.

Un esempio è offerto dalla strategia della monocausa.

Errore di importanza

Tipico dei sopravviventi (ma presente anche in svogliati, apparenti, violenti ecc.). Per sopravvalutare la propria realtà si altera l’importanza di fattori che ci circondano. Si veda l’articolo corrispondente, Errore di importanza (gli illusi).

Errore di partigianeria

Non sapendo spiegarsi un fenomeno, lo si associa irrazionalmente, “con certezza”, a una delle cause ipotizzate. Può appartenere a personalità irrazionali, mistiche o violente (il termine partigianeria indica infatti la volontà di imporre la propria posizione, anche in presenza di altre ragionevoli).

Un esempio particolare di errore di partigianeria è l’argumentum ad ignorantiam, cioè un ragionamento di questo tipo: nessuno ha mai provato che X è falso, quindi X è vero; per esempio nessuno ha mai provato con certezza che Dio esiste, quindi Dio non esiste.

Per approfondire si vede l’articolo Errore di partigianeria.

Errore di stasi

Tipica della personalità dell’indeciso. Non sapendo decidere su una proposizione sulla quale prima o poi dovremo prendere una decisione, si tende a sospendere il giudizio, continuando a oscillare fra le possibili soluzioni, è importante ricordare che non è indeciso solo chi non decide, ma anche chi si forza (o spesso è forzato) a decidere, ma, di fatto, continua a rimuginare sulla sua decisione, fra mille dubbi e mille perplessità.

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