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Una vita da leggenda

La locuzione una vita da leggenda è diventata abbastanza comune nel sito ed è arrivato il momento di spiegarla in modo un po’ più scientifico. Certo, in passato ho fatto molti esempi, ma rischiano di essere solo “esempi fortunati” o di apparire “sopravvalutati”.

Inoltre, il metodo di valutazione che indicherò non permette di barare con sé stessi e ciò è fondamentale perché aumenta l’oggettività della proposta.

Che differenza c’è fra la vita di un sopravvivente e quella di un top people? Anche se il top people non ha particolari condizioni facilitanti, sicuramente una differenza fondamentale è una vita da leggenda.

Partiamo da lontano, per far digerire poco alla volta alcuni concetti fondamentali.

Se andate in una residenza per anziani e incominciate a parlare con i ricoverati, non sarà difficile scoprire che molti di loro raccontano episodi della loro vita accaduti nella giovinezza. Certo, si sa che la memoria a breve termine in molti soggetti anziani è carente, ma perché hanno ancora presente aneddoti di quando avevano 20 o 30 anni e molti di meno di quando ne avevano 40 o 50? Visto che parliamo comunque di 20 o 30 anni fa, si sta considerando solo la memoria a lungo termine.

Un altro esempio. Quando si incontrano, magari dopo anni amici del liceo o dell’università, dopo un breve aggiornamento della situazione (“mi sono sposato, ho due figli, lavoro in banca” ecc.), quasi inevitabilmente si ritorna a parlare di quegli anni invece di dettagliare meglio all’amico quello che è successo dopo.

L’importanza della memoria nella sfera esistenziale

I due esempi soprariportati dovrebbero far capire l’enorme importanza della memoria nella valutazione esistenziale. Infatti, chi è vittima di un’amnesia totale cade in un’angoscia profonda perché di fatto gli sembra di non essere mai esistito prima.

Nell’articolo sulla memoria evidenziamo che ciò che accade resta impresso nella nostra mente a seconda dell’impatto psicologico (positivo o negativo) che ha avuto su di noi. Anche la persona che ha una “memoria di ferro” può non ricordarsi il volto di una persona incontrata poche settimane prima, semplicemente perché quella persona gli era “indifferente”.

Anche i miei amati scacchi confermano l’importanza dell’impatto psicologico sulla memoria e quindi sull’esistenza: il dilettante, che gioca per puro piacere, ma senza grande passione, non riesce mai a ricostruire la sua partita, anche se ha appena finito di giocarla. Il forte giocatore non ha invece nessuna difficoltà e non tanto perché è “forte” quanto perché ha ” vissuto” e “capito” ogni singola mossa che gli è entrata nell’anima.

Ora supponiamo che una persona arrivi a 40, 50 o 60 anni e le venga chiesto che cosa si ricordi dei suoi ultimi 15 anni della sua vita, della sua, non di quella di chi gli sta attorno (“mio figlio si è sposato” quindi non vale). Se non sa farci che un elenco striminzito (“ho cambiato lavoro”, “sono stato promosso”, “sono andato in vacanza qua o là” ecc.), diventiamo più cattivi e chiediamole:

  • cosa hai fatto di significativo nel 2004?
  • cosa hai fatto di significativo nel 2012?

Spesso l’unica cosa che viene ricordata è “dove si è andati in vacanza” (si veda la strategia del carcerato). Non a caso, quando adulti si incontrano una tantum l’unico argomento di conversazione positivo sono proprio le vacanze (quello negativo spesso sono i problemi lavorativi).

Molti riterranno ciò normale, come riterranno normale ricordarsi il primo amore, il primo bacio, il giorno dell’esame di maturità, il primo giorno di lavoro, il giorno del matrimonio, la nascita dei figli ecc. D’accordo, ma insieme a questi “must” della memoria c’è chi ricorda centinaia di altre giornate e altri solo poche decine.

Ora dovreste esserci arrivati:

chi vive una vita da leggenda ha riempito la sua memoria di tantissimi ricordi positivi.

Quindi “è esistito”.

Ricordo, quindi ho vissuto.

Affinché questo sia possibile è fondamentale avere veri oggetti d’amore che possano rendere moltissime giornate momenti indimenticabili.

Prendo un anno di 5, 10 o vent’anni fa. Mi riesce facile ricordare i particolari di tanti momenti passati con mia moglie, i dettagli di tante gare o allenamenti che ho fatto con veri amici (di molti ricordo anche i tempi), i tanti fagiani presi qua e là, persino quelli che ho mancato clamorosamente, le partite di scacchi più belle o quelle dove ho perso una grande opportunità ecc. Insomma, tu mi dai un anno e ti scrivo il diario come se fosse ieri. Peraltro, non è questione di memoria perché sono uno che non si ricorda le facce di persone con cui ho parlato “per caso” o “per cose che non mi importavano”. Non è la capacità di memoria che “segna” il ricordo, ma l’intensità con cui si è vissuto.

coppia

La memoria ha una profonda importanza nella sfera esistenziale

I sopravviventi

Per contrasto, dovrebbe essere chiaro che un sopravvivente non riesce a ricordare che pochi significativi eventi: sì, se è stato condizionato su valori come il lavoro, il matrimonio, i figli, potrà raccontarci che lui ha un ottimo lavoro, un’eccellente carriera, che ha una moglie che ama e che i suoi figli gli danno tante soddisfazioni. Ma cosa vuol dire tutto ciò se non ricorda che i particolari di poche giornate? Approfondiamo questo punto.

Ricordare che si andava al parco con i propri figli a farli giocare è come quello che ti racconta che lui tutti i week-end andava al parco a correre. Va bene, ma tutti quei giorni sono stati condensati in un’unica frase “che bello era quando andavo al parco con i miei figli!”. Centinaia di giornate che vengono riassunte in una frase di qualche decina di caratteri. Probabilmente era sereno, il suo cuore era in pace e batteva piano mentre guardava i figli, ma erano giorni tutti uguali che non hanno lasciato che un ricordo sintetizzabile in una frase.

Il sopravvivente può al massimo aspirare alla serenità, ma non certo alla leggenda: nel diario della sua mente non scrive che poche righe. Analogamente si è ammazzato di lavoro per fare carriera, ma di quei vent’anni anni passati in ditta non ricorda che qualche decina di episodi veramente significativi, per il resto ricorda colleghi o lavori, ma nessuna giornata. Alla Fantozzi, ha lavorato per vent’anni con il Filini di turno, ma quante sono le giornate che ricorda con esattezza perché in quel momento gli hanno riempito il cuore con qualcosa di “leggendario”?

Scelte discutibili

Quanto detto sopra permette di capire meglio diverse scelte esistenziali sempre bocciate nel sito. Mi limito qui a citarne due.

I pendolari – Ogni volta che passo per caso sulla tangenziale di Milano non posso fare a meno di provare pena per quei pendolari che perdono un paio di ore al giorno per recarsi sul luogo del lavoro e poi tornare a casa. Che senso ha buttare una percentuale consistente della propria giornata, senza nessuna possibilità di renderla significativa? Certo, molti non troverebbero altro lavoro, ma la cosa grave è che la gente si adatta a questa situazione, non pensa nemmeno di operare un cambiamento nella propria vita, subisce passivamente, rassegnata.

Facebook – Ho sempre detto che preferisco Twitter a Facebook e l’esperienza della mia pagina ha confermato e rafforzato questa sensazione, Facebook ha senso se si vuole parlare alla gente su temi specifici o se si partecipa a gruppi che hanno in comune un oggetto d’amore, come mezzo per scambiarsi informazioni da trasformare poi in azioni. Il gruppo della pesca, della corsa, del romanzo giallo ecc., non pagine personali dove si racconta la propria vita. Ma che senso ha tenere una pagina personale per far sapere agli altri cosa facciamo? Visto che sono sempre schietto, ve lo dico un’altra volta: è solo il sintomo di una nullità esistenziale, l’esatto contrario della vita da leggenda. Passare anche solo un’ora al giorno a cazzeggiare su Facebook significa di fatto una vita al lumicino. Se avete capito quanto sopra, cosa resterà di tutte quelle ore fra dieci anni? Nulla. Vi ricorderete forse della miriade di commenti, a volte un po’ forzati, a volte idioti, a volte del tutto inutili? La voglia di esistere e di farvi notare dagli altri si trasforma in una cancellazione di gran parte delle vostre ore. Chi ha una vita da leggenda non ha tempo per cazzeggiare.

Scelte difficili

Che tanti aspirino a una vita da leggenda è dimostrato da alcuni percorsi esistenziali.

Molti giovani sognano di diventare un grande calciatore, una grande modella, una grande star del cinema o della canzone. Purtroppo “solo uno ce la fa” e gli altri ritornano fra le fila dei sopravviventi. Quello che a loro sfugge è che ci sono strade più semplici per “non dimenticare” la propria vita. E passano attraverso gli oggetti d’amore.

Come è triste correre con un grande ex-atleta e sentire che ti parla solo di episodi della sua carriera: finita questa, è esistenzialmente morto perché non ha trovato altre cose che valesse la pena ricordare.

Analogamente un’altra espressione che cerca la leggenda è il tifo sportivo, dove il povero tifoso s’identifica con la squadra (“abbiamo vinto”, piccolo particolare: loro hanno vinto) che compie la grande impresa. Il difetto di questa soluzione è che spesso, accanto a momenti positivi, si hanno anche delusioni e momenti negativi, inframmezzati da una vita che comunque è spesso piatta: far dipendere la propria leggenda da 11 ragazzi in mutande non è certo il massimo.

Un’altra scelta accettabile, ma “difficile” sono i viaggi, le vacanze, ricordate come momenti “indimenticabili” (quando lo sono!). Vero, ma non è possibile vivere solo poche settimane all’anno.

Conclusioni

Ho spiegato al mio amico Amalio cosa fosse la vita da leggenda; riflettendo lui mi ha risposto: “quindi è qualcosa che lascia un solco”. Esatto.

Ogni tua giornata può non lasciare segni nella tua memoria, può lasciare un graffio che comunque il tempo cancellerà o può lasciare un solco che rimarrà per sempre. Quando ti volgerai indietro negli anni vedrai solo i solchi che non saranno altro che le foto dell’album della tua vita. Per molte persone l’album è fatto di poche pagine, per altre di centinaia. Aspira a essere fra queste.

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