Nel pomeriggio dell’ultimo giorno di caccia, il 31 gennaio, nelle campagne del Pavese io e al più una dozzina di altri cacciatori eravamo in cerca di un impossibile fagiano. La stragrande maggioranza dei miei colleghi non vedeva un fagiano da mesi e molti avrebbero riso delle mie speranze (sono quelli che “cacciano per divertirsi”, quelli che attirano giustamente le ire degli animalisti, una sorta di spacciati della caccia. Non so perché, ma io ero fiducioso. Sempre incollato al cane, io e Claudia (mia moglie) in religioso silenzio, finché arrivammo al canneto che confinava con la zona protetta. Qui il cane impazzì sul sentiero, si buttò nelle canne e levò facilmente un maschio. Cassie e Claudia si lanciarono a recuperarlo mentre io rimasi un attimo sul posto, pensando: “‘Che sfiga! Ancora un paio d’ore e avrebbe vissuto ancora almeno un anno”.
Quando lo ebbi fra le mani, prima di incarnierarlo, non potei non notare che era un maschio molto vecchio con speroni enormi, forse veniva dalle parti più interne della zona di rifugio. Chissà quanti anni aveva passato indenne. Poi guardai Cassie che scodinzolava felicissima dell’incontro. Il suo sguardo corresse il mio pensiero: “Altro che sfiga, è stata una sua scelta uscire dalla zona. Chissà cosa cercava, ma è morto per una sua scelta“.