Fatti non foste a viver come bruti
Fatti non foste a viver come bruti è il verso 119 del canto XXVI dell’Inferno di Dante Alighieri; fa parte del discorso che Ulisse rivolge ai suoi compagni per spronarli a continuare il loro viaggio oltre le colonne d’Ercole, confine ultimo del mondo allora conosciuto. Ulisse conclude così il suo appassionato appello:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Ulisse chiede cioè ai propri compagni di pensare alla propria origine: non sono stati creati per vivere come animali, ma per seguire la virtù e la conoscenza.
Il canto XXVI è noto anche come Canto di Ulisse ed è ambientato nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno ove si trovano i “consiglieri fraudolenti”. Ulisse è l’astuto ingannatore che ha ideato il trucco del cavallo di Troia, ma non è solo l’inganno perpetrato che condanna l’eroe acheo, la sua colpa è anche quella di aver voluto oltrepassare i limiti imposti alla natura umana, in questo caso rappresentati dalle colonne d’Ercole.
Nel canto dantesco, però, Ulisse incarna anche la figura positiva dell’uomo che dedica la propria esistenza alla conoscenza.
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