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Amor, ch’a nullo amato amar perdona

Amor, ch’a nullo amato amar perdona è uno dei versi più noti dell’intera Commedia dantesca. È il verso 103 del canto V dell’Inferno, il cosiddetto canto di Paolo e Francesca.

Prima di tutto merita fare una piccola introduzione relativa al canto stesso e ai suoi protagonisti.

Siamo nel secondo girone, quello dei lussuriosi, cioè quei peccatori che durante la vita hanno perseguito la soddisfazione dei piaceri contro ogni regola, abbandonandosi alle passioni. Sono puniti da un vento senza sosta che li trascina lungo tutto il girone: è il contrappasso per questi dannati che durante la vita si sono invece fatti guidare dal vento delle passioni.

Tra le anime peccatrici, Dante scorge due anime che procedono insieme e gli sembrano più leggere al vento che le colpisce («quei due che ‘nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggieri», vv. 74-75). Si tratta di Paolo e Francesca, di cui abbiamo scarse notizie storiche. Francesca era figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna e sposa di Gianciotto Malatesta, signore di Rimini. La donna si innamorò però del cognato, Paolo Malatesta, e quando il marito li scoprì uccise entrambi, probabilmente nel 1285.

I due amanti, uniti per sempre, si avvicinano a Dante e la donna inizia a raccontare il loro dramma, prima facendo riferimento alla sua città natale e poi all’innamoramento per Paolo:

«Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi a vita ci spense».

In questi versi, caratterizzati dalla triplice anafora (la ripetizione, a inizio verso, di una o più parole con cui inizia il verso precedente) della parola «amor», Francesca insiste su quello che è il motore di tutto l’episodio, ribadendo la sua assoluta sottomissione alle leggi di Amore.

Dante, tramite le parole di Francesca, ribadisce quello che è il principio dello Stil Novo, il movimento poetico a cui il poeta, insieme a Guido Guinizelli (anche Guinizzelli), Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, aveva dato avvio: l’amore si può diffondere solamente nell’animo gentile e nobile, non di sangue ma di sentimenti.

Inoltre il verso «Amor, ch’a nullo amato amar perdona», che significa «L’amore, che non permette a nessuna persona amata di non ricambiare», è una reminiscenza del Trattato d’amore di Andrea Cappellano, scritto alla fine del XII secolo, in cui l’autore elenca una serie di regole relative appunto all’Amore; una di queste recita: «L’amore non può rifiutare nulla all’amore».

Amor, ch'a nullo amato amar perdona - parafrasi

Dante Alighieri è considerato il padre della letteratura italiana e il più grande poeta italiano

Amor, ch’a nullo amato amar perdona – Parafrasi

 

«L’amore, che esplode presto nel cuore gentile,

si impossessò di costui (Paolo) per la bellezza dell’aspetto

che mi è stata tolta; e il modo in cui avvenne ancora mi offende.

L’amore, che non permette a nessuna persona amata di non ricambiare,

si impossessò di me per la bellezza di costui in modo così forte,

che, come puoi vedere, ancora non mi lascia.

L’amore ci ha condotti alla stessa morte.

La Caina[1] attende chi ci ha tolto la vita».

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[1] La Caina è la prima delle quattro zone in cui è suddiviso l’ultimo girone infernale, dove vengono puniti i traditori dei parenti e dove dunque sarà punito anche Gianciotto.

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