L’avversione alle perdite si basa sul fatto che gli investitori hanno più paura di perdere che piacere nel guadagnare. Consideriamo l’esperimento classico di scelta, a seguito dell’investimento di 1.000 euro:
- Ho una probabilità del 50% di guadagnare 200 euro e una probabilità del 50% di perdere 100 euro.
- Ho una probabilità del 100% di guadagnare 50 euro.
In entrambi i casi il rendimento atteso è di 50 euro, ma la maggior parte delle persone si orienterà verso B. Si noti che anche diminuendo la somma di guadagno del caso B, molti continueranno a preferirlo ad A, a prescindere dal fatto che il rendimento atteso sia inferiore!
Se combiniamo gli effetti della percezione selettiva e dell’avversione alle perdite, è facile capire perché molti investimenti vengono mantenuti troppo a lungo mentre quelli in attivo vengo dismessi troppo prematuramente.
Paradossalmente, di fronte a una perdita, l’avversione è così forte che l’investitore tende ad assumere un rischio maggiore pur di compensarla. Tale comportamento è molto simile a chi nel gioco d’azzardo perde somme ingenti perché “non sa smettere in perdita e vuole rifarsi”.
La sindrome del giocatore d’azzardo può essere evitata con due mosse: si decide quanto si vuole dedicare agli investimenti più rischiosi e lo si comunica a un controllore esterno (coniuge, consulente finanziario, amico) che abbia l’autorità morale di imporre la disciplina e il rispetto del piano. Per quanto riguarda il ridimensionamento della propensione al rischio dopo episodi sfortunati è necessario ricordare che, contrariamente a quanto la nostra natura ci suggerisce, i mercati sono tanto meno rischiosi quanto peggiore è stato il loro rendimento recente e che non ha senso comprare una copertura assicurativa (leggi prodotti finanziari a capitale protetto e garantito) dopo che il danno è avvenuto.