La rinuncia all’eredità è un atto con il quale colui che è chiamato ad ereditare (ovvero l’erede) dichiara di non volere accettare l’eredità ovvero i beni di cui un altro soggetto, fino al suo decesso, aveva la titolarità.
La rinuncia all’eredità è disciplinata dall’art. 519 e seguenti del codice civile; secondo l’art. 521 chi rinuncia all’eredità è come se non vi fosse mai stato chiamato. Però, sino a quando qualcun altro, individuato successivamente, non dichiara di accettare, la rinuncia all’eredità può essere revocata (art. 525 del codice civile).
Perché rinunciare all’eredità?
I motivi per cui un soggetto decide di rinunciare all’eredità possono essere i più disparati, ma, in molti casi, la rinuncia viene fatta perché i debiti del defunto (il de cuius) sono maggiori dei suoi crediti; con la rinuncia all’eredità, il chiamato fa cessare gli effetti nei suoi confronti determinati dall’apertura della successione, rimanendo quindi del tutto estraneo a essa; nessun creditore del defunto quindi potrà pretendere il pagamento del suo credito da chi ha rinunciato all’eredità.
Ovviamente, prima di rinunciare all’eredità è sempre opportuno effettuare un’accurata verifica sulla reale consistenza del defunto (attraverso un controllo dei pubblici registri catastali e verificando l’eventuale presenza di atti di pignoramento, eventuali fallimenti ecc.).
È importante ricordare che quando si hanno dubbi sull’esistenza di debiti, ma si è certi dell’esistenza di crediti, è possibile, in base all’art. 490 del codice civile, accettare l’eredità con beneficio d’inventario; l’accettazione con beneficio d’inventario è un atto con il quale il chiamato all’eredità può distinguere il suo patrimonio personale da quello del defunto; così facendo egli risponderà di eventuali debiti del de cuius soltanto con il patrimonio ereditato.
La rinuncia all’eredità può anche essere fatta qualora si abbia intenzione di agevolare altri coeredi con un solo passaggio di proprietà nel caso in cui l’eredità sia attiva.
Come si rinuncia all’eredità
Sostanzialmente la rinuncia all’eredità si concretizza attraverso la formalità di una dichiarazione espressa effettuata presso un notaio o dal cancelliere del tribunale ove la successione si è aperta (la Cancelleria della Volontaria Giurisdizione).
Tale dichiarazione deve essere riportata in un apposito registro (Registro delle successioni) conservato in tribunale.
Nel caso di soggetti minori, interdetti, inabilitati e persone giuridiche, la rinuncia all’eredità può essere effettuata da chi li rappresenta.
È fondamentale sapere che la rinuncia all’eredità deve essere pura, ovvero non può essere sottoposta a termine o condizione (per esempio, rinuncio all’eredità a condizione che…” oppure “rinuncio all’eredità fino al giorno X”), e deve essere completa, ovvero estesa a tutta la propria quota di eredità (per esempio, non si può fare una rinuncia parziale del tipo: “accetto l’immobile X, ma rinuncio al conto corrente Y).
Nel caso in cui la rinuncia all’eredità venisse fatta dietro compenso oppure a favore di solo alcuni dei soggetti chiamati a ereditare, si avrebbe l’effetto contrario, ovvero l’accettazione dell’eredità.
Supponiamo, per esempio, che Tizio, Caio e Sempronio siano chiamati all’eredità di Mevio e supponiamo altresì che Tizio dichiari di rinunciare all’eredità previo pagamento di un determinato corrispettivo da parte di Caio e Sempronio; in questo caso, per la legge, Tizio accetta l’eredità.
Supponiamo invece che Tizio dichiari di rinunciare all’eredità in modo gratuito, ma solo a favore di Caio (escludendo quindi Sempronio); anche in questo caso, per la legge, Tizio accetta l’eredità.
Rinuncia all’eredità: entro quando si può farla?
In base a quanto riportato nell’articolo 480 del codice civile, il chiamato all’eredità ha il diritto di accettarla (e quindi anche quello di rinunciarvi) entro dieci anni dal giorno della morte del defunto; nel caso però che vi sia stato un accertamento giudiziale dello stato di figlio, il termine di dieci anni non decorre dal giorno della morte del de cuius, bensì dal giorno del passaggio in giudicato della relativa sentenza (vedasi art. 480 del codice civile, II comma).
Vale la pena citare anche l’ipotesi prevista dall’articolo 485 in base al quale “il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione (…). Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice. Compiuto l’inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell’art. 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell’inventario medesimo per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice“. Si tratta di una norma che si presta a interpretazioni differenti e disorienta talvolta anche gli operatori del settore.
La legge italiana (art. 481 del codice civile) prevede anche la possibilità di abbreviare il sopraccitato termine decennale: chiunque abbia un interesse (il classico caso è quello di eventuali creditori personali del chiamato all’eredità) può chiedere al tribunale ove sia stata aperta la successione che venga fissato un termine entro il quale il chiamato dichiari l’accettazione o la rinuncia all’eredità. Trascorso il termine fissato dal tribunale senza che il chiamato abbia dichiarato alcunché, egli perde il diritto di accettare/rinunciare all’eredità.
Retroattività, revocabilità e decadenza
Il soggetto che fa dichiarazione di rinuncia all’eredità è come se non fosse stato mai chiamato a ereditare (effetto retroattivo della rinuncia, vedasi art. 521 del codice civile). Va però ricordato che sono previste due eccezioni; chi ha rinunciato all’eredità infatti può sia trattenere un’eventuale donazione ricevuta oppure domandare il legato a lui fatto fino al valore massimo della porzione disponibile (si ritiene che il coniuge superstite del de cuius, anche in caso di rinuncia all’eredità, possa trattenere il diritto di abitazione e di uso, dal momento che si tratta di un diritto che è previsto dal codice civile all’articolo 540).
Per quanto riguarda la revocabilità della rinuncia all’eredità, essa è disciplinata dall’articolo 525 del codice civile che recita testualmente: “Fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità“. Si devono quindi tenere in considerazione due fondamentali presupposti, ovvero che la revoca deve essere fatta necessariamente prima della prescrizione del diritto di accettarla e che l’eredità non sia stata accettata da altro di coloro che sono stati chiamati.
Va altresì puntualizzato che la revoca non deve comportare nessun pregiudizio per le ragioni eventualmente già acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità.
Il diritto di rinunciare all’eredità decade se il chiamato ha sottratto oppure nascosto beni spettanti all’eredità stessa (vedasi art. 527 del codice civile); in questo caso egli verrà considerato come erede puro e semplice.
Cosa succede all’eredità nel caso di rinuncia
Nel caso venga fatta dichiarazione di rinuncia all’eredità, a chi spettano i beni? Si devono prendere in considerazione due fattispecie: successione legittima e successione testamentaria.
Nel caso di successione legittima, nel caso in cui siano presenti altri coeredi legittimi, la parte di eredità di colui che vi ha rinunciato viene suddivisa in modo equo fra detti coeredi (fatto salvo però il diritto di rappresentazione, in base al quale il discendente è chiamato a succedere in luogo dell’ascendente che non voglia o non possa accettare l’eredità); se invece non esistono altri coeredi legittimi l’eredità verrà devoluta a coloro ai quali essa spetterebbe nel caso in cui egli mancasse.
Nel caso di successione testamentaria, se sono presenti altri coeredi testamentari, la parte di chi ha fatto rinuncia all’eredità verrà divisa in modo equo fra detti coeredi, fatto salvo il caso in cui il de cuius non abbia disposto una sostituzione; se invece non sono presenti altri coeredi testamentari, l’eredità verrà devoluta agli eredi legittimi.
Vediamo alcuni esempi pratici.
Tizia muore senza aver disposto alcun testamento; ha tre figlie, Maria, Elisabetta e Marta; nel caso in cui Maria rinunci, la sua quota andrà a sommarsi a quelle di Elisabetta e Marta (che, di fatto, otterranno ciascuna la metà dell’eredità lasciata dalla madre).
Tizio muore senza aver disposto alcun testamento; ha un figlio, Caio, che a sua volta ha un figlio, Sempronio; nel caso in cui Caio rinunci all’eredità, questa passa a Sempronio.
Tizio muore e ha disposto per testamento di lasciare i suoi beni a Caio e Sempronio; Tizio ha stabilito che, nel caso di una rinuncia all’eredità da parte degli eredi, la quota venga devoluta all’associazione benefica X; se Caio rinuncia, la quota che sarebbe a lui spettata andrà all’associazione X (e non a Sempronio). Se invece Tizio non avesse lasciato disposizioni relative a un’eventuale rinuncia all’eredità, la quota cui Caio ha rinunciato andrà a Sempronio.
Tizia muore e ha disposto per testamento di lasciare i suoi beni a Sempronia, senza aver stabilito niente riguardo a un’eventuale rinuncia all’eredità. Nel caso in cui Sempronia rinunci all’eredità, questa sarà devoluta ai suoi eredi legittimi.
Impugnazione
Il codice civile dispone (art. 524) che nel caso di rinuncia all’eredità con danno dei creditori, questi possano richiedere l’autorizzazione ad accettare l’eredità rinunciata in nome e in luogo del debitore rinunciante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni dell’eredità (fino a concorrenza dei loro crediti). Il diritto dei creditori si prescrive in 5 anni che decorrono dal giorno della dichiarazione di rinuncia all’eredità.
Va anche precisato che l’impugnazione della rinuncia all’eredità può essere fatta anche dal soggetto rinunciante qualora essa sia stata effetto di violenza (per esempio, una rinuncia estorta con una minaccia) oppure di dolo. L’impugnazione può essere fatta entro i 5 anni in cui sia venuta a cessare la violenza o sia stato scoperto il dolo.