Il decreto ingiuntivo è uno strumento processuale divenuto, in tempi di difficoltà nel recuperare i crediti, particolarmente “famoso” e comune a molti soggetti, che si trovino dalla parte del credito o, loro malgrado, del debito.
Nell’occuparci del processo civile ordinario si è preso atto di quella che è una delle caratteristiche, per ora connaturate, all’ordinario svolgersi di una causa civile, ovvero i tempi, se non biblici, certo non celeri.
In questo contesto, il decreto ingiuntivo costituisce una valida alternativa per cercare di ottenere una più rapida soddisfazione delle proprie ragioni, riservando a un momento successivo (instaurazione di un processo ordinario) la tutela delle eventuali ragioni del debitore.

Il decreto ingiuntivo è noto anche come provvedimento monitorio o ingiunzione di pagamento
Caratteristiche e modalità di utlizzo del decreto ingiuntivo
Vediamo, dunque, quali sono le caratteristiche essenziali dello strumento e, soprattutto, la casistica nella quale può essere utilizzato.
Il decreto ingiuntivo è regolato dagli artt. 633 e ss. del codice di procedura civile (c.p.c.), che disciplina, in primo luogo, l’ambito applicativo dello strumento. L’art. 633 c.p.c., infatti, precisa sin da subito che il soggetto che lo richiede deve andare creditore di una “somma liquida di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili” ovvero deve avere diritto alla consegna di una “cosa mobile determinata“.
La somma di denaro, secondo l’elaborazione che della norma è stata data, deve essere liquida, ovvero predeterminata nell’ammontare, o ricavabile da un semplice conto matematico; deve, inoltre, essere esigibile, ovvero il pagamento deve poter essere richiesto nel momento in cui il decreto viene depositato (dunque un credito, per esempio sottoposto a termine o a condizione, non lo è sino a quando il primo non sia scaduto o la seconda avverata).
La nozione di cosa fungibile (o bene fungibile) è volta a individuare quei beni che vengono presi in considerazione solamente nel loro genere e sono individuati per numero, peso e/o misura. Il denaro ne è un esempio, ma possiamo anche pensare a 10 kg di grano.
Infine l’articolo consente l’utilizzo dello strumento quando sussista il diritto alla restituzione di una cosa mobile (quindi con esclusione di beni immobili) determinata (quindi esattamente individuata). Pensiamo al diritto di ottenere la restituzione delle chiavi dell’auto che ho prestato a un amico per un tempo determinato, ma che egli non vuole più restituire.
I numeri 2) e 3) dell’articolo 633 si occupano di casi specifici di crediti, quali quelli derivanti da prestazioni “giudiziali” (compensi dell’avvocato, dei procuratori, cancellieri o ufficiali giudiziari o ogni altro soggetto che abbia prestato la propria opera in occasione di un processo) e quelli del notaio, ovvero altro professionista per cui sussista una tariffa legalmente approvata. In questi casi, l’art. 636 c.p.c. prescrive che, a sostegno del proprio ricorso, il professionista debba allegare la parcella delle prestazioni con il parere del proprio ordine di competenza. È interessante notare che il Giudice può rigettare il ricorso (perché non ritiene sussistenti altri presupposti), ma non può, in questa fase, discostarsi dal parere dell’organismo professionale.
Per tutti gli altri casi, invece, il codice si limita a chiedere che il diritto fatto valere sia fondato su prova scritta, la quale viene individuata dai seguenti artt. 634 e 635 c.p.c.
In linea generale sono tali “le polizze e promesse unilaterali per scrittura privata e i telegrammi“; per le somministrazioni di merci e denaro o per le prestazioni rese dagli imprenditori sono tali anche gli “estratti autentici delle scritture contabili“, tali da dimostrare, in sostanza, che i documenti fiscali accompagnatori dei beni sono ritualmente considerati nella contabilità aziendale.
La prima dicitura esposta non inganni; invero è ritenuta valida prova scritta qualsiasi documento che sia meritevole di fede quanto all’autenticità (si pensi a un contratto sottoscritto tra due parti; ma anche a un fax).
Nel concetto di “promesse unilaterali” rientrano certamente la promessa di pagamento (art. 1988 del codice civile) e la ricognizione di debito (art. 1989 del codice civile); le cambiali e gli assegni.
L’art. 635 c.p.c., invece, si occupa dei crediti dello Stato e degli Enti pubblici, precisando che sono valide prove anche i registri e i libri della Pubblica Amministrazione, se un funzionario o il notaio ne attestano la regolare tenuta.
Di rilevante interesse è pure il disposto dell’art. 50 del Testo Unico Bancario (d. lgs. 385/1993) che individua quale prova scritta, in favore dell’istituto di credito, anche l’importo che, in base all’estratto conto, il funzionario dell’istituto dichiari conforme alle risultanze contabili e vero e liquido. Trattasi di casistica molto frequente.
Chiariti i margini di utilizzabilità, veniamo alle disposizioni processuali in senso stretto.
L’art. 637 c.p.c. stabilisce che competente sulla richiesta sia il giudice di pace o il tribunale che sarebbe competente nel caso in cui la domanda fosse fatta valere in via ordinaria. La norma richiama, quindi gli artt. 7-30-bis del codice di procedura civile, il quale disciplina competenze territoriali (il luogo dove la causa va instaurata) e competenze per materia e valore (ovvero determinare, alla luce della materia, quale sia il giudice competente).
I commi due e tre, invece, prevedono delle deroghe in favore dei professionisti. In specie il comma due prevede che, per i crediti derivanti “da processo” (633 n. 2 c.p.c.) sia competente anche il giudice del luogo ove il processo si è svolto; il comma tre, invece, riconosce ad avvocati e notai il diritto di agire avanti al giudice del luogo ove ha sede l’ordine cui sono iscritti. Questa seconda norma, invero, è oggi fortemente limitata nel caso (frequente) in cui il cliente del professionista sia un consumatore; in tali ipotesi, infatti, il foro competente è sempre quello ove risiede il soggetto che rivesta tale qualità.
Gli artt. 638 e 639 c.p.c. si occupano dei requisiti formali dell’atto introduttivo del giudizio, ovvero del “ricorso per ingiunzione”; esso deve indicare precisamente soggetto ricorrente, procuratore, controparte, ragioni del credito e allegazione dei documenti che si pongono a fondamento della richiesta.
Così interessato il giudice, questi ha il dovere, qualora ritenga non sufficientemente provata la richiesta, di chiedere l’integrazione al ricorrente; qualora questi non provveda o anche l’integrazione non risolva i dubbi del giudice, questi rigetta il ricorso (art. 640 c.p.c.); con la sola precisazione che il rigetto non impedisce la riproposizione della domanda, sia nuovamente con decreto che in via ordinaria.
Se, invece, il giudice ritiene che sussista la prova del credito, emette il vero e proprio “decreto”, con il quale ingiunge (ovvero ordina) all’altra parte di pagare la somma di denaro (o consegnare la cosa) e ciò nel termine di giorni 40 dalla notifica. Su richiesta della parte, il termine per pagare può essere ridotto sino a 10 giorni, oppure aumentato sino a 60. Se il debitore risiede in uno Stato della comunità europea il termine è di giorni 50, ma può essere ridotto fino a 20. Per i debitori residenti extra-UE il termine è di 60 giorni. Con il decreto vengono liquidate anche le spese.
Entro lo stesso termine, però, anziché pagare, il debitore ha la facoltà di svolgere opposizione, instaurando un procedimento civile ordinario; ciò qualora ritenga di non dovere il denaro ovvero per altre ragioni che possano, comunque, paralizzare la richiesta avversaria. La proposizione di opposizioni infondate, infatti, ha di regola il solo effetto di far “lievitare” le spese legali da rifondere alla controparte.
Prima di affrontare il tema dell’opposizione, però, è importante occuparsi dell’art. 642 c.p.c. che disciplina l’importante facoltà per il giudice di concedere l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo.
Come si è dedotto, il debitore che riceve il decreto ingiuntivo ha la facoltà di pagare oppure di proporre opposizione; in questa seconda ipotesi, si instaura un giudizio ordinario ed i tempi per la realizzazione del credito si allungano.
L’art. 642 c.p.c. però, autorizza, in determinate condizioni, il Giudice a dichiarare esecutivo il decreto e, quindi, il debitore che lo riceve è costretto a pagare immediatamente, potendo comunque svolgere opposizione, ma senza che questa blocchi, intanto, le pretese creditorie. Questi, dunque, potrà agire esecutivamente (a mezzo pignoramenti) anche mentre la controparte svolge opposizione.
Il codice concede tale possibilità quando il credito sia “provato” a mezzo documenti particolarmente rilevanti: cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, atto ricevuto da notaio.
La provvisoria esecuzione può essere concessa pure quando sussista un pericolo di grave pregiudizio dal ritardo; sostanzialmente quando il creditore rappresenti che, per specifiche circostanze fattuali che ha l’onere di provare, esista il rischio che l’attesa pregiudichi il proprio credito.
L’ultima ipotesi, introdotta più di recente (l. 263/2005), è che il creditore produca un documento, sottoscritto dal debitore, comprovante il diritto che si aziona in giudizio.
Si ribadisce che, la differenza tra un decreto ingiuntivo ordinario e uno provvisoriamente esecutivo è essenziale, poiché il secondo autorizza a un’azione esecutiva immediata (previa notifica del precetto, se a ciò non esonerati, cfr. art. 642 III c.p.c.) e, dunque, espone al rischio di misure pregiudizievoli (ipoteche, pignoramenti).
In ogni caso, nel termine di 40 giorni, il debitore ha la facoltà di promuovere opposizione, disciplinata dall’art. 645 c.p.c. È importante rilevare che, decorso tale termine dalla notifica, il decreto diviene definitivo, ovvero non può essere più oggetto di modifica. Il termine, ben si comprende, assume un rilievo elevatissimo.
L’opposizione si propone avanti al giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, mediante esposizione di tutti i fatti che la fondano. Si instaura così un procedimento ordinario che ha per oggetto il credito azionato e le difese della controparte.
La trattazione diviene, quindi, simile al processo ordinario (cui rimandiamo), con un’unica precisazione. Si è detto che il decreto ingiuntivo può essere provvisoriamente esecutivo oppure no.
Nella prima ipotesi, alla prima udienza, il Giudice può sospendere, su richiesta dell’opponente, la provvisoria esecuzione, evidentemente a fronte delle difese spiegate dal debitore ed esposte nell’atto di opposizione. Quando, invece, il decreto ingiuntivo, originariamente, non fosse esecutivo, il giudice può munirlo di provvisoria esecuzione, autorizzandolo, su richiesta del creditore; con pronuncia favorevole del giudice, questi potrebbe agire esecutivamente, nonostante la pendenza della causa.
L’art. 650 c.p.c., infine, prevede l’ipotesi della cosiddetta opposizione tardiva. Quando il debitore prova che non ha avuto notizia del decreto ingiuntivo (per vizi di notifica o caso fortuito o forza maggiore), potrà svolgere l’opposizione, anche se sono scaduti i termini dell’art. 641 c.p.c.
Tuttavia è bene precisare che l’ipotesi è molto marginale; si deve trattare di vera e propria inesistenza della notifica che la giurisprudenza riconosce in casi assolutamente eccezionali.
È bene, quindi, qualora si “incappi” in un provvedimento del genere, attivarsi per tempo qualora si ritenga di avere fondate ragioni per opporsi alla richiesta.
Lorenzo Zanella
Avvocato
Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Treviso