Comunione è un termine che, in un Paese a ritenuta maggioranza cattolica, può risultare ambiguo e quindi è il caso di chiarire che non ci stiamo occupando del sacramento, ma, ovviamente, del fenomeno giuridico che, per quanto poi si dirà, trova la sua espressione più consueta nel cosiddetto condominio.
Diverso ancora è il concetto, altrettanto familiare, di comunione legale tra coniugi.
Per quanto attiene la situazione che qui interessa, ci si riferisce alla comunione quando la proprietà o altro diritto reale sono contestualmente in capo a più soggetti, appunto in comune tra loro e, perciò, detti comunisti (di seguito ci si riferirà sempre alla proprietà, per comodità espositiva e, quindi, conseguentemente, ai comproprietari).
Dall’esistenza di più soggetti, che hanno diritto di esercitare, su uno stesso bene, le facoltà relative, nasce l’esigenza di regolamentare i rapporti tra di essi e in relazione all’oggetto della loro proprietà comune.
L’origine della comunione
L’origine della comunione può essere di vario genere, ovvero volontaria (perché più persone acquistano insieme un bene; pensiamo a due amici che acquistano una barca), incidentale (perché non dipendente dalla volontà dei soggetti, i quali divengono titolari di un diritto da condividere con altri; l’ipotesi principale è quella della comunione che sorge dall’accettazione di un’eredità) oppure forzosa (non dipendente dalla volontà dei soggetti e, in più, non soggetta a scioglimento; l’esempio tipico è il condominio, nel quale, alcune parti sono comuni e i singoli proprietari non possono rinunciare alla propria quota).
Di regola la comunione è pro-indiviso, ovvero ciascun comproprietario è titolare di una quota ideale del bene e non di una singola porzione dello stesso (comunione, questa ultima, detta pro-diviso).
Comunione: la disciplina legale
Trattandosi di un fenomeno giuridico in cui “vengono in relazione” più soggetti, la disciplina legale serve a chiarire come debba essere utilizzato il bene, a evitare (o, quanto meno, a voler evitare, perché non è detto che poi ci si riesca) conflitti tra le parti.
Il principio fondamentale, fissato dall’art. 1102 del codice civile, è che ciascuno è libero di servirsi della cosa comune, con due limiti essenziali, ovvero la “non alterazione” della destinazione e il “non impedire” che anche l’altro (gli altri) ne facciano un pari uso.
Ciascun bene, in effetti, ha per propria natura una destinazione, una funzione e, quindi, il libero utilizzo deve salvaguardare tale funzione (è, per esempio, illegittimo utilizzare un giardino come parcheggio auto).
Ogni bene, inoltre, deve essere a disposizione di ciascuno dei comproprietari (ovviamente in proporzione alle rispettive quote, come disposto dall’art. 1101 II comma del codice civile.), senza che uno dei soggetti possa appropriarsene in via esclusiva (altrimenti deve “mutare il titolo del suo possesso”, come espresso dall’art. 1102 II comma del codice civile e, quindi, qualificarsi come unico proprietario).
Ciascun comproprietario può cedere la propria quota del bene, nel mentre (come è ovvio che sia) un comproprietario non può cedere l’intero bene.
Al fine di utilizzare in modo più efficiente il bene, il codice civile disciplina, come detto, l’amministrazione dello stesso. L’art. 1105 del codice civile stabilisce che gli atti di ordinaria amministrazione vengono deliberati a maggioranza del valore delle quote (e sono vincolanti per la minoranza); è essenziale che tutti i comproprietari siano stati previamente informati e in caso di impossibilità (art. 1105 IV comma del codice civile) di assumere una decisione, ci si può rivolgere al giudice.
Con la maggioranza delle quote è possibile anche prevedere un regolamento, come pure nominare un amministratore, chiamato a farlo rispettare.

La comunione, nell’ambito del diritto, è una situazione per cui la proprietà o un altro diritto reale spettano in comune a più persone.
Spese: il tema “caldo” delle comproprietà
Il tema “caldo”, per eccellenza, delle comproprietà, accanto all’uso, è quello delle spese, che possono essere distinte in:
- spese necessarie alla conservazione e all’utilizzo del bene e spese deliberate dalla maggioranza (art. 1104 del codice civile);
- spese necessarie a un “miglior” godimento del bene (art. 1102 I comma del codice civile);
- spese relative a innovazioni, volte a un miglioramento del bene ovvero a renderne più comodo o redditizio il godimento (art. 1108 del codice civile).
Ovviamente non è sempre agevole determinare l’inquadramento del singolo pagamento. La qualificazione è importante, ai fini della comprensione del soggetto sul quale grava la spesa.
La regola è che i comproprietari sono tenuti in proporzione alla rispettiva quota (e non al pratico utilizzo) alle spese (art. 1101 II comma del codice civile), le quali dovranno, però, essere state decise secondo le regole previste.
Le spese di cui all’art. 1104 del codice civile devono essere deliberate secondo le regole dell’ordinaria amministrazione sopra ricordate.
Le spese di cui all’art. 1108 del codice civile vanno decise da una maggioranza qualificata, pari ad almeno i due terzi del valore complessivo del bene; a condizione, comunque, che la decisione non pregiudichi il godimento di qualcuno dei comproprietari e non implichi una spesa eccessivamente gravosa. Un tanto vale per ogni atto eccedente l’ordinaria amministrazione.
Le eccezioni sono di due ordini:
- è sempre possibile, per il singolo, a proprie spese, apportare le modifiche necessarie a un “miglior” godimento dello stesso (art. 1102 I comma del codice civile). Il singolo può, quindi, migliorare anche da solo il bene, facendosi carico delle spese.
- È prevista, invece, l’ipotesi in cui, per inerzia degli altri, un singolo comproprietario anticipi le spese necessaria a conservare il bene comune; in tal caso egli ha diritto al rimborso (art. 1110 del codice civile).
La regola è, comunque, che un soggetto può sottrarsi alla spesa, rinunciando al proprio diritto.
Scioglimento della comunione
La comunione, di regola, può essere sciolta. Sono assolutamente eccezionali i casi in cui ciò non sia possibile (un esempio, codificato, è quello delle parti comuni del condominio). È da precisare, infatti, che qualora un bene non sia, in effetti, divisibile, è comunque possibile per ciascun soggetto ottenere l’assegnazione di tutto il bene, rimborsando all’altro comproprietario (o a più di uno) la somma di denaro equivalente. Un tanto si ottiene facendo ricorso al giudice, il quale (in estrema sintesi), lo fa stimare da un soggetto terzo. Ciascun comproprietario, poi, può chiedere l’assegnazione, versando il denaro all’altro. Se nessuno ne chiede l’assegnazione, il bene viene venduto e si divide il denaro ricavato; se tutti ne chiedono l’assegnazione, viene attribuito a uno per sorteggio.
Lorenzo Zanella
Avvocato
Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Treviso