Le associazioni riconosciute vantano una minuziosa disciplina, dettagliatamente contenuta negli artt. 14 e seguenti del Codice Civile, a differenza delle associazioni non riconosciute, al cui funzionamento il legislatore ha ritenuto opportuno dedicare meno spazio. Queste ultime, infatti, oltre ad avere un regime più snello in tema di gestione, non possiedono neppure una personalità giuridica e conseguentemente non godono di autonomia patrimoniale perfetta, bensì di una “soggettività giuridica” (Cass. 16 giugno 2000, n. 8239). Tali caratteri appartengono invece alle associazioni riconosciute in forza della particolare forma richiesta dalla legge per la loro costituzione: l’atto pubblico. È bene innanzitutto precisare che per “associazione” si intende un’organizzazione stabile di uomini e mezzi volta a raggiungere uno scopo comune diverso dal lucro. La Costituzione, all’art. 18, riconosce ai cittadini il diritto di associarsi liberamente per fini non perseguibili dalla legge penale, prevedendo inoltre che “il carattere ecclesiastico o il fine religioso o di culto d’una associazione (…) non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività” (art. 20).
Atto costitutivo e statuto
Gli scopi e l’organizzazione dell’associazione riconosciuta sono contenuti nell’atto costitutivo (che in questo caso riveste necessariamente la forma dell’atto pubblico, come stabilito dall’art. 14 c.c.) e nello statuto. Questi costituiscono “espressione di autonomia negoziale e sono regolati dai principi generali del negozio giuridico, salve le deroghe imposte dai particolari caratteri propri del contratto di associazione” (Cass. Sez. III, 8 aprile 2010, n. 8372). Da ciò ne deriva che, secondo la stessa pronuncia, non può aversi, nei rapporti associativi, “la presenza di un contraente più debole”, perciò meritevole della particolare tutela prevista per le clausole vessatorie. Difatti, la comunanza degli interessi e delle risorse è un presupposto imprescindibile della partecipazione ad un’associazione ed è questo l’aspetto che consente l’impiego di tutti i mezzi disponibili al fine di raggiungere gli scopi previsti dall’atto costitutivo.
Tutto ciò che consente di identificare l’associazione si trova nell’atto costitutivo e nello statuto. In questi documenti, ai sensi dell’art. 16 c.c., primo comma, sono contenute infatti “la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull’ordinamento e sulla amministrazione.”. I diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione vengono altresì disciplinate da questi documenti, che possono, per esempio, derogare anche alla regola generale secondo cui “la qualità di associato non è trasmissibile” (art. 24, I comma, c.c.). Ebbene, in tema di esclusione di un associato, la Cassazione ha stabilito che “il principio secondo il quale la deliberazione di esclusione dell’associato è di pertinenza dell’assemblea a norma dell’art. 24, comma 3, c.c. è derogabile con lo statuto (…) il quale può attribuire il relativo potere ad organi diversi, salvo restando la facoltà dell’interessato di impugnare il provvedimento di esclusione con ricorso all’autorità giudiziaria.” (Cass. 10 dicembre 1998, n. 6725). L’esclusione dell’associato, in ogni caso, come stabilisce l’art. 24, comma 3, c.c., può essere deliberata solo per “gravi motivi” e avverso la delibera di esclusione, l’associato può proporre ricorso all’autorità giudiziaria entro sei mesi dalla sua notificazione.
Il secondo comma dell’art. 16 c.c., prevede la possibilità di inserire, nell’atto costitutivo e nello statuto, norme che riguardano l’estinzione dell’ente e la devoluzione dei beni e la liquidazione del patrimonio.

Un’associazione sportiva dilettantistica può costituire un’associazione riconosciuta
Gli amministratori
Agli amministratori è devoluta, di fatto, la gestione dell’associazione e gli stessi ricoprono funzioni amministrative e di rappresentanza dell’ente.
L’art. 18 c.c. descrive la loro responsabilità nei confronti dell’associazione, laddove sancisce che “gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme del mandato” e solo colui che tra questi “non abbia partecipato all’atto che ha causato il danno” ne è esente, “salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constare del proprio dissenso”. L’art. 22 del Codice Civile prevede, quindi, che “le azioni di responsabilità contro gli amministratori delle associazioni per fatti da loro compiuti sono deliberate dall’assemblea e sono esercitate dai nuovi amministratori o dai liquidatori”.
L’art. 21 c.c., infine, per evitare il crearsi di palesi conflitti di interessi, stabilisce che gli amministratori non hanno voto “nelle deliberazioni di approvazione del bilancio e in quelle che riguardano la loro responsabilità”.
L’assemblea delle associazioni
L’assemblea delle associazioni è un organo collegiale che ha funzione deliberante e viene obbligatoriamente convocata dagli amministratori una volta l’anno per l’approvazione del bilancio, come sancisce l’art. 20 c.c. L’assemblea deve essere altresì convocata quando se ne ravvisi la necessità, mentre quando a farne richiesta motivata è almeno un decimo degli associati, la convocazione può essere ordinata dal Presidente del Tribunale, se gli amministratori non vi provvedono.
Le deliberazioni dell’assemblea seguono di norma il principio maggioritario. La volontà dell’ente viene dunque espressa della maggioranza dei voti, sebbene il primo comma dell’art. 21 preveda, esclusivamente in prima convocazione, un quorum costitutivo pari o superiore alla metà degli associati. In seconda convocazione, invece, la deliberazione è valida qualunque sia il numero dei partecipanti.
Le modifiche all’atto costitutivo e allo statuto, in assenza di disposizioni in essi contenute, richiedono la presenza di almeno tre quarti degli associati, oltre al voto favorevole della maggioranza dei presenti. La delibera che verte sullo scioglimento dell’associazione e la devoluzione del patrimonio, necessita, infine, del voto favorevole di almeno tre quarti degli associati.
L’art. 23 c.c. prevede che “le deliberazioni dell’assemblea contrarie alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate su istanza degli organi dell’ente, di qualunque associato o del pubblico ministero.”, facendo salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede “in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima”. Il terzo comma del medesimo articolo disciplina invece la sospensione dell’esecuzione della deliberazione con decreto motivato del Presidente del Tribunale o del Giudice Istruttore e in presenza di gravi motivi. Questa avviene su istanza di colui che ha proposto impugnazione, una volta sentiti gli amministratori dell’associazione, ai quali il decreto viene poi notificato. Quando, infine, le deliberazioni siano contrarie all’ordine pubblico o al buon costume, l’esecuzione può essere sospesa anche dall’autorità governativa, come stabilisce in conclusione l’art. 23 c.c.
Estinzione dell’associazione: liquidazione e devoluzione dei beni
Come si è visto, l’atto costitutivo e lo statuto possono prevedere cause speciali di estinzione dell’associazione, che altrimenti avviene “quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile”, o quando “tutti gli associati sono venuti a mancare” (art. 27 c.c.). A seguito dello scioglimento dell’associazione, si procede alla liquidazione del patrimonio, come indicato dall’art. 30 c.c.
I beni rimanenti a seguito della liquidazione, secondo l’art. 31 c.c., “sono devoluti in conformità dell’atto costitutivo o dello statuto” e qualora questi non dispongano “si osservano le deliberazioni della assemblea che ha stabilito lo scioglimento”. In mancanza di prescrizioni, i beni verranno devoluti secondo quanto disposto per le fondazioni: l’autorità governativa attribuirà “i beni ad altri enti che hanno fini analoghi”.
Crediti
Antonio Belli
Praticante avvocato abilitato al patrocinio
Iscritto nel Registro dei Praticanti Abilitati dell’Ordine degli Avvocati di Roma