Non c’è amore più sincero che l’amore per il cibo diceva lo scrittore e drammaturgo George Bernard Shaw; aforismi (condivisibili o no) a parte è senz’altro vero che il concetto di cucina non può essere disgiunto dal rapporto che si ha con il cibo. Tale rapporto può essere vissuto in molti modi diversi che in alcuni casi possono purtroppo arrivare a vere e proprie patologie.
Sono a tutti noti i termini di bulimia e anoressia con le devastanti conseguenze che tali malattie hanno sull’individuo. Senza arrivare a condizioni per le quali è richiesto l’intervento sanitario, un comportamento minibulimico (non bulemico come spesso si usa dire) oppure minianoressico sono situazioni purtroppo frequenti nella popolazione.
Il minibulimico mangia spesso per compensare problemi psicologici non risolti, mentre il minianoressico può essere definito come colui che si ciba per puro spirito di sopravvivenza. In entrambi è ovvio che parlare di amore per il cibo è decisamente fuori luogo. Il minibulimico non è in grado di apprezzare il cibo perché spesso ha azzerato la diversificazione del suo gusto orientandosi verso pochi e gratificanti sapori (il dolce, il salato, il grasso), mentre il minianoressico non lo apprezza perché è solo un carburante per il suo corpo, senza nessuna correlazione con la qualità della vita.
Per ironia della sorte molti minianoressici sono comunque in sovrappeso perché nella scelta dei cibi non applicano nessun criterio salutistico e finiscono per eccedere comunque caloricamente, visto che la stragrande maggioranza di essi conduce una vita nettamente sedentaria.
Anche fra chi sembra provare amore per il cibo esistono però profonde diversità.
Possiamo trovare chi lo ama da “contemplativo” (il cibo diventa una cultura o una religione); il contemplativo darà un’esagerata importanza alla qualità e alla forma, sopravvalutando il ruolo che l’alimentazione può avere nella qualità della vita. Un esempio classico è chi frequenta soltanto ristoranti estremamente rinomati e privilegia piatti superraffinati, diventando un minianoressico verso cibi che ritiene di infima qualità.
C’è poi il salutista convinto, con un grande interesse per l’alimentazione, vista però in modo troppo teorico come mezzo per supportare la propria salute, senza nessuna possibilità di farla diventare un oggetto d’amore. Il salutista apprezza la qualità dei cibi, è attento a non esagerare, ma spesso è portato a vedere il cibo più come un nemico che come un amico.
Il dissoluto invece non presenta nessun freno nei confronti del suo amore smodato per il cibo; spesso diventa una droga di cui non può fare a meno per rendere significative le proprie giornate. Non a caso quasi tutte le occasioni socializzanti si basano su un evento gastronomico (il pranzo con i parenti, quello con gli amici, quello per lavoro ecc.).
L’incapacità di resistere alle lusinghe del cibo (la causa più frequente di iperalimentazione) è sicuramente una delle cause del sovrappeso nei Paesi più sviluppati ed è anche quella che ha fatto nascere le diete più assurde e dal risultato più improbabile.
Dal diverso peso di queste tre componenti e dalle eventuali inclinazioni bulimiche o anoressiche (presenti per esempio negli anziani) si originano migliaia di comportamenti possibili. Il soggetto che ha il comportamento più equilibrato è sicuramente quello che
- apprezza il cibo, ma dà la priorità alla salute, quindi a un corpo forte (evitando comportamenti anoressici) e magro (evitando la dipendenza del bulimico o del dissoluto);
- dà la giusta importanza alla qualità (evitando gli eccessi del contemplativo);
- conosce la profonda differenza fra abbuffata ed eccezione alimentare (equilibrio fra salutismo e piacere).
L’ultimo punto (L’abbuffata) è talmente importante che merita un paragrafo a sé.