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Tempi impossibili

Parliamo di “tempi impossibili“. Uno dei motivi che rendono molto difficoltosa la consulenza a distanza in campo sportivo è ovviamente il riscontro diretto e personale che l’allenatore può avere solo con la sua presenza. Ciò è fondamentale per sport dove la tecnica è preponderante, sembrerebbe esserlo un po’ meno per sport “organici” come la corsa, dove sicuramente le qualità fisiche del soggetto sono fondamentali e si traducono in qualcosa di oggettivo come il tempo, la prestazione. Ma non è così.

Ogni prestazione può essere inficiata da fattori che ne rendono difficile l’interpretazione.

Alcuni, come i fattori climatici, sono abbastanza facilmente parametrabili e possono essere “trasmessi” anche a distanza: “c’era un gran caldo che mi ha fatto perdere almeno 5-6″/km”. L’esperienza dell’atleta e dell’allenatore possono convergere verso valutazioni realistiche della prova.

In altri casi, invece è possibile che l’atleta non sappia riferire esattamente i parametri importanti e che la sua prestazione venga distorta a causa di una cattiva interpretazione. Ne risultano spesso tempi impossibili che, se non sono proprio lontanissimi dalle capacità del soggetto, non fanno altro che illuderlo e spingerlo verso piani di allenamento sbagliati.

Misurazione errata

È il caso più comune; la misurazione è approssimativa oppure il runner la approssima per eccesso. 9,8 km non sono 10 km e ritenerli tali significa sovrastimarsi di 5-6″/km.

La cosa è particolarmente grave quando c’è l’avallo di una classifica ufficiale. Anni addietro ero a Pistoia per la mezza maratona e per la nostra convention; contemporaneamente a Vigevano si correva la Scarpa d’Oro per amatori.

Collegatomi al sito, ho scorso le classifiche, accorgendomi subito dell’incredibilità dei tempi (peraltro presi da giudici Fidal): non solo il più veloce amatore aveva fatto un tempo da atleta nazionale (su 10 km), ma moltissimi atleti comuni avevano corso almeno 1′ in meno rispetto ai loro livelli. La cosa era talmente eclatante che tutti si erano accorti del fatto, ma ognuno poi ne ha dato la sua interpretazione ottimistica. Parlando con molti atleti presenti alla Scarpa d’Oro, quasi tutti riconoscevano l’errore nei tempi, ma poi si confezionavano la loro prestazione in modo che risultasse comunque superlativa!

Un variante del problema della misurazione errata è sicuramente quella dei parziali errati (con misurazione globale corretta). Alcuni anni fa, il lunedì di Pasqua ho corso un 10000 m molto competitivo a Gualtieri. Essendo la prima gara veloce della stagione, ho preso i parziali a ogni km, ma non li ho controllati (per evitare di essere demotivato da tempi troppo lenti). Alla fine il controllo ha dato un esito stranissimo: passaggio ai 5000 m  in 18’19” e finale di 37’51”. Un crollo che sinceramente non ho avvertito; è vero che faceva caldo, che non ero motivatissimo, ma è anche vero che solo un paio di atleti mi hanno superato nella seconda metà.

Ebbene, tutti erano convinti di essere crollati: a nessuno è venuto il sospetto che i km potessero essere posizionati male (cosa peraltro suffragata anche da altri “indizi” che non sto a riportare)! Tutti si sono convinti che “con quel primo caldo primaverile (abbiamo gareggiato alle 13,30) nella seconda parte si crolla”.

Un caso singolare di misurazione errata si verificò quando feci il record nella maratonina di Varazze nel 2000. L’anno prima, preparatissimo, avevo corso in condizioni ideali su un percorso perfetto e scorrevolissimo (esattamente misurato con rotella metrica) in 1h19’19”.

L’anno dopo a Varazze, meno preparato, su un percorso bello, ma realisticamente non ideale, avevo corso in 1h18’57”. La cosa strana è che la gara si svolgeva su un primo anello di 5 km e su altri tre giri di 5,365 m circa. Il primo anello risultò velocissimo: un incredibile 18’05” di passaggio. Poiché tutti passarono velocissimi, si deve pensare che il primo anello in qualche modo fosse più corto o fosse stato accorciato dagli atleti percorrendo un tratto diverso da quello misurato. Morale: un guadagno a mio avviso di 20″ che riportava il tempo in linea con quello dell’anno precedente.

Percorso in discesa

Questo fattore sta diventando sempre più importante. Maratone o mezze maratone con il punto d’arrivo differente da quello di partenza sono sospette. È vero che ci sono regolamenti internazionali che danno un dislivello massimo (che comunque favorisce), ma è altrettanto vero che manifestazioni minori non sono soggette a tali regolamenti. Stranamente molti atleti hanno realizzato i loro record proprio in manifestazioni con arrivi “più in basso”. Il guadagno cronometrico può non essere stratosferico (ed è maggiore quanto più la gara è corta), ma 2-3″/km non sono poca cosa se poi si riflettono in un successivo piano di allenamento “impossibile”.

Percorso con vento alle spalle

tempi impossibiliVale per i percorsi lineari; un vento alle spalle non si avverte, se non è fortissimo e può far guadagnare anche 5″/km.

Vento alle spalle e discesa sono tanto più importanti quanto più l’atleta è debole, un top runner è più costante nel rendimento. Per convincersi, basta pensare che su una forte discesa chi in piano va a 5’/km può tranquillamente correre a 3’30”, mentre un top runner che in piano va a 3’/km non può correre a 1’30” perché sarebbe come lanciarsi nel vuoto e il controllo dell’azione di corsa sarebbe impossibile.

Per darvi un’idea di cosa si possa guadagnare con vento+discesa posso dirvi che in pista ho un record di 17’41” sui 5000 m; su strada mi è capitato di correre diverse volte un percorso in leggera discesa (diciamo 10-15 m di dislivello fra arrivo e partenza, paragonabili a 100 m su una maratona).

La volta più “fortunata” avevamo il vento alle spalle ed ero in grandissima forma. Morale un 17’02”; realisticamente se fossi stato in pista quel giorno non sarei sceso sotto i 17’30”, cioè un guadagno netto di 6″/km. Il che significa 4′ su una maratona: prima di sceglierla, se tentate da un secolo di scendere sotto le tre ore e non ci riuscite, studiate l’altimetria e il clima della prossima maratona. Ricordatevi comunque che magari un 3h02′ realizzato in una maratona senza trucchi può valere moralmente molto di più di un 2h59′ ottenuto con qualche “aiutino”.

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