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Nycmania

Purtroppo continuano a chiedermi se ho corso la maratona di New York. Rispondo sempre con molta pazienza che “no, non l’ho corsa, né mai la correrò”. L’espressione un po’ stupita del mio interlocutore mi obbliga a motivare le mie parole. Vista l’esperienza in materia, alla fine ho coniato un termine che mi consente di premettere un concetto che per me è fondamentale: non corro la maratona di New York perché non sono nycmaniaco. Questo termine è da tempo entrato nel gergo della corsa come è entrato il termine sacchettaro, che ho avuto il piacere di sentire usare anche da chi non sapeva di avere di fronte il creatore del neologismo.

In senso stretto, la nycmania (da New York City Marathon) è il desiderio ossessivo di correre un giorno la maratona di New York, vista come massima espressione della vita del runner.

Voglio correre la maratona! Maratoneti per forza…

Molti neofiti della corsa (magari provenienti da altri sport) puntano subito a correre la maratona, come massima espressione della corsa. Da un punto di vista tecnico ciò è profondamente sbagliato perché un principiante (anche con un fisico già molto allenato perché proveniente da altri sport) non ha ancora la carrozzeria resistente per una gara così impegnativa. Il risultato è che molti si rompono durante la preparazione, magari proprio pochi giorni prima della gara.

Quindi il primo errore è

identificare la maratona come l’unica certificazione della caratura atletica dello sportivo.

1) Si dovrebbe fare sport per stare meglio e quindi il punto fondamentale è che occorre assecondare la predisposizione naturale del proprio corpo.

Nella popolazione solo il 10-12% è naturalmente predisposto per la maratona; il rimanente o è veloce (la classica struttura del calciatore o della pallavolista) con fibre veloci in abbondanza o, al più, ha doti da mezzofondista veloce (fino ai 10000 m).

Per il maratoneta per forza (MPF) sembra che non si sia runner se non si corre una maratona. Questo è profondamente sbagliato. Quello che dà la caratura di un runner è il suo miglior risultato. Correre la maratona in 3h30′ è sicuramente meno valido di correre un 5000 m in 20′. Se non si è convinti, basta porsi la domanda: è meglio fare il record del mondo sui 5000 m o arrivare a 20′-21′ da Kimetto in una maratona? Questo esempio è la traduzione del rapporto 20′ sui 5000 m – 3h30′ nella maratona. Solo chi non capisce di tempi può credere che finire una maratona sia sempre meglio che correre un 5000 m veloce.

2) Non si deve ricercare a tutti i costi la visibilità attraverso la distanza. Questo è l’obiettivo dell’MPF. Poiché chi è al di fuori del mondo della corsa non capirebbe che correre un 5000 m sotto i 20′ è un’impresa che solo pochi (nella popolazione) riescono a compiere, ecco che la maratona diventa il tramite con cui aumentare la propria visibilità. “Ho corso la maratona”, ed ecco che gli occhi dell’interlocutore (cui correre per 42 km sembra un’impresa eccezionale, a prescindere dal tempo – errore per ignoranza) si illuminano di ammirazione.

3) Non si deve ricercare a tutti i costi la visibilità attraverso il piazzamento. Piazzarsi bene in una maratona è più semplice per il banale fatto che l’allenamento conta percentualmente molto rispetto a distanze dove senza doti naturali non si va lontano (è un po’ come riuscire bene a scuola solo perché si studia 12 ore al giorno! I secchioni non sono mai stati simpatici a nessuno…). Chi ci dà un paio di minuti nei 10000 m, in maratona può prendere anche mezz’ora per aver sottovalutato l’importanza di un allenamento ad hoc. Sulle distanze brevi chi è più dotato di noi, anche se si allena male, spesso ci arriva davanti.

4) Non si deve ricercare la propria autostima attraverso la realizzazione dell’impresa. Ciò vuol dire che la nostra autostima è e rimarrà fragilissima, in balia del prossimo fallimento. L’MPF con bassa autostima cosa fa? Sceglie una sfida che è impossibile perdere: arrivare a finire una maratona ci arrivano tutti, magari strisciando e magari al secondo o terzo tentativo. In Italia ci sono quasi 39.000 maratoneti.

Quanti di questi riescono a correre i 5000 in meno di 20′ (fra l’altro un tempo nemmeno da campione)? Probabilmente meno del 20%.

Quindi se si cerca di costruire la propria autostima, lo si faccia capendo che per stimarsi basta buttare il cuore oltre il traguardo, a prescindere dal risultato, sia cronometrico sia di posizione. Questa convinzione costruirà un’autostima granitica, al riparo da ciò che succede e, soprattutto, dal giudizio altrui.

NOTA – Questo articolo non vuole dissacrare la maratona, gara bellissima, anzi. Vuol solo evitare che l’unica direzione del runner sia la maratona perché in tal caso non si è più runner, si è, ripeto, maratoneti per forza.

Dimenticavo. Questo articolo potrebbe sembrare partorito da chi non ha un buon rapporto con la maratona. Invece (siccome ritengo che parlare per invidia sia sempre esempio di stupidità) ne ho corse una decina e ho stabilito il mio record a 49 anni con un tempo mediocre (2h58’43”) ma che mi abilita a dire la mia…

nycmania

La nycmania (da New York City Marathon) è il desiderio ossessivo di correre un giorno la maratona di New York, vista come massima espressione della vita del runner.

Perché New York?

Arriviamo ora al nycmaniaco. Perché la nycmania è uno stato patologico (scherzo, ma non troppo!)?

Sicuramente molti di voi mi hanno conosciuto grazie al mondo della corsa; ancora oggi questo mondo porta al sito tanti nuovi visitatori, alcuni dei quali poi magari scoprono anche la sezione Alimentazione e la sezione Felicità (che per me è la più importante); a volte, arrivati su quest’ultima, cambiano il giudizio che hanno di me, declassandomi da Dio che ha fatto loro correre la maratona in meno di X (salvando la loro autostima e dando un senso alla loro vita) a mentecatto dalle idee strane. Poco male, io ho sempre creduto che non si possa scindere una nostra attività dal resto della nostra vita e che come la facciamo sia indicativo della nostra personalità. Anche correre la maratona lo è.

Correre a New York è un indicatore esistenziale. Infatti continuo a credere che andare a New York sia una forma di esibizionismo o, detto in termini più “psicologici” e vicini al mio sentire, che sia un indicatore di apparenza. Chi va per farci la maratona non riesce a fare turismo per i tempi stretti del viaggio e la necessità di non ammazzarsi di fatica; né può sperare di fare il tempo, visto che l’affollamento iniziale e il percorso fanno perdere molto. I più romantici parlano di “atmosfera” (come si fa a parlarne, se non ci si è mai stati?), di “magia” e altre cavolate simili. In realtà l’atmosfera è quella che loro creeranno parlando dell’esperienza agli amici, vantandosi implicitamente di essere grandi runner perché hanno corso la maratona di New York.

Diversi i VIP che, come sempre, hanno partecipato anche quest’anno alla New York Marathon; ricordiamo in particolare l’edizione del 2011 che vide un “nutrito” gruppo di politici italiani, ben 14 parlamentari dei vari schieramenti guidati dall’allora vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. Vi invitiamo anche a leggere la nostra riflessione sulla prestazione di Gianni Morandi.

Per smascherare la loro apparenza (che è quella di tutti i nycmaniaci), la loro ricerca di visibilità, anche se so che nessuno di loro mi risponderà, vorrei fare ai politici dei due schieramenti una domanda banale: visto che non perdono occasione per spingere e difendere il made in Italy, perché sono andati a New York e non a Firenze o a Venezia?

Il fascino

A questo punto alcuni non si saranno ancora convinti perché, al di là di ogni dubbio, New York ha un notevole fascino per chi corre, un’atmosfera unica ed eccezionale.

Vero, ma le persone vanno a New York esattamente come i giovani vanno ai raduni dove con altri 50.000 si sentono meno anonimi nell’ascoltare la loro musica preferita.

Sul fascino di New York ascoltiamo le parole di Giacomo Leone (vincitore nel 1996): “in quel giorno tutti gli abitanti scendono in strada per tifare per tutti gli atleti che vi partecipano”. L’amatore quel giorno si sente un campione, “appare” un campione, si sente importante.

Per essere (e non solo sentirmi) importante mi bastano le cose che amo, non devo andare fino a New York.


COMMENTI

Maratoneti a tutti i costi?

maratoneti per forzaHo 32 anni, 72 kg, 175 cm. Mi alleno da novembre, prima con il metodo preso dal sito, poi, da gennaio, con il metodo F.I.R.S.T. in quanto non riuscivo a trovare il tempo per gli allenamenti proposti con il Metodo Albanesi. Il mio livello è basso, il mio passo medio su un percorso da 10.000 m è di 5’34” e ho corso un lunghissimo (sebbene non in condizioni ottimali a causa di stanchezza accumulata dal giorno prima, una giornata sugli sci) di 32 km in 3h24′ con un passo di 6’23”. Ho fatto una settimana fa un test di Cooper il quale risultato è stato 2.500 m in 12′. Non riesco a fare una stima attendibile di un mio tempo in gara, io mi orienterei su 4h20′, non nascondo però che farò di tutto per finire con 10′ sotto questo tempo. Vorrei sapere se con questi numeri posso provarci senza incorrere in debilitanti (per il fisico e la mente) fallimenti.

Grazie e complimenti per il sito. Francesco.

Ciao Francesco,

> Non riesco a fare una stima attendibile di un mio tempo in gara

Infatti non è possibile perché, di fatto, sei un soggetto “non allenato alla distanza”. Mi è molto difficile risponderti perché la tua mail è molto distante dalla mia concezione dello sport. Lo sport è innanzitutto fatto per la salute e in secondo luogo non è mai fatto per raggiungere obiettivi che ci gratifichino, dandoci visibilità presso chi è attorno a noi.

> il metodo F.I.R.S.T. in quanto non riuscivo a trovare il tempo per gli allenamenti proposti con il Metodo Albanesi

Devo essere sincero, non ho mai capito che senso abbia correre la maratona se non si è allenati. Anche un centenario ci è riuscito, il difficile è correre una gara al meglio delle proprie possibilità (un soggetto che corre i 10 km in 5’34″/km potrebbe correre la maratona in 4h12′, ma farebbe meglio a cercare di correre prima i 10 km in meno di 50′, vista anche la tua giovane età). Se uno non ha tempo per allenarsi si orienta ad altro. Correndo una maratona da non allenati si fa solo del male al proprio fisico. Conosco tantissimi runner che, dopo aver corso la propria maratona, hanno smesso, continuando per anni a vantarsi con gli amici di “aver corso la maratona”.

Non hai tempo? Io mi chiederei perché, cercando di migliorare l’organizzazione della mia vita, magari scoprendo che lavorare moltissimo non è la strategia più furba (vedi sezione Felicità del sito). Se fai già molte altre belle cose e la tua vita è da 10, lascia perdere la maratona, continua a coltivare ciò che ami.

Se vuoi correre per la salute, la prima cosa che devi fare è ridurre il tuo peso. Un maratoneta alto 175 cm al massimo pesa 67 kg. I tuoi tendini ringrazieranno. Quindi incomincia a occuparti di alimentazione.

> non nascondo però che farò di tutto per finire con 10′ sotto questo tempo

Scusa, ma anche quando tu ci riuscissi, cosa cambierebbe nella tua vita??? “Fare di tutto” mi sembra espressione esagerata.

Scusa la franchezza, ma cerco sempre di aiutare chi mi scrive…

New York New York

Nyc Marathon nycmaniaMi sento fare spesso, molto spesso, da amici e conoscenti, la fatidica domanda “Allora, quando correrai la maratona di New York?”. Non trovo la domanda né stupida né fastidiosa e poi mia nonna mi ripeteva spesso che chiedere è lecito e rispondere è cortesia. (Il fatto è che molti, che siano runner oppure no, pensano che quella che si corre a New York non sia una maratona bensì “la maratona”). La mia bocca dice sempre “Vedremo…” (per non “deludere” troppo il mio interlocutore), ma la mia mente dice “Mai.” 

Se non mi stupisco dello stupore (perdonatemi la cacofonia) del sedentario sono un po’ più perplesso quando la meraviglia la leggo in faccia a chi, di maratone, ne corre più di me. Perché questa mia perplessità? Posticipiamo un attimo la risposta e facciamo un passo indietro. Chi scrive è un maratoneta mediocre, serenamente conscio della sua scarsa caratura atletica. Un giorno questo maratoneta ha rivolto il domandone al suo allenatore: “Ritieni che possa tentare di scendere sotto le 3 ore?” La risposta fu negativa e la lettera si chiuse con l’anticipazione di un commento che sarebbe stata pubblicato di lì a poco: …magari 3h15′ in maratona è il tuo limite fisiologico. Se poi impazzisci, ti alleni 8-10 volte alla settimana, impari a negare dolore e sofferenza come un fachiro indiano ecc. potresti correre anche in 3h10′ o 3h. Ma francamente non so se ne vale la pena…

No, non ne vale la pena, chi è wellrunner non verrà devastato dal fatto che non ce la farà a scendere sotto il fatidico muro dei centottanta minuti, chi è wellrunner e ama la maratona non sarà meno maratoneta se non correrà a New York, il wellrunner maratoneta, a mio giudizio, deve porsi un obiettivo, allenarsi seriamente e con coscienza (la maratona non è una mission impossible, ma prenderla sottogamba sarebbe una sciocca supponenza), scegliere la maratona giusta tentando così di migliorare i propri limiti temporali. Torniamo quindi alla mia perplessità di fronte allo stupore del runner che sogna la Grande Mela; sono perplesso perché moltissimi runner (la maggioranza oserei dire) sono, atleticamente parlando, di caratura mediocre, esattamente come me, e tutti noi ci alleniamo, magari per mesi, per limare pochi minuti al nostro “personale”. Perché imbarcarsi quindi nell’impresa newyorkese? Perché spendere una barcata di soldi per ritrovarsi intruppati assieme ad altri quarantamila dilettanti perdendo magari venti minuti sul crono ufficiale? Solamente per dire “Ho corso a New York?”, suvvia… Chi non pratica il running non può avere idea di quanto sia impegnativo preparare una “quarantadue”, la domanda su New York City è pertanto “giustificata”, ma chi conosce la trafila di preparazione alla corsa di Filippide come può meravigliarsi del “grande rifiuto”? Correre la maratona di New York non aggiunge niente al nostro essere maratoneti. Datemi retta, andate a Calderara…

Insensibile a New York?

Maratona di New York e nycmaniaDopo aver letto il tuo articolo sulla maratona di New York mi è venuta voglia di farti partecipe di qualche riflessione.

Comprendo il tuo punto di vista. Condivido tutte le tue posizioni ma ritengo che questa volta tu abbia messo in luce solo gli aspetti negativi e meramente autocelebrativi che motivano la partecipazione a questo grande evento che ha una evidente natura commerciale. Tuttavia gli organizzatori della maratona di New York e, indirettamente, tutti coloro che vi partecipano hanno un grande merito: quello di promuovere a livello mondiale la corsa amatoriale nel contesto di una cassa di risonanza che ha l’indiscutibile pregio di far passare, per un paio d’ore all’anno, in secondo piano il calcio di serie A, B, C, D … Z che i mezzi di comunicazione ci propinano a dosi massicce. Probabilmente la corsa si può promuovere in mille modi diversi, ma non si può negare che, durante la trasmissione, le fasi agonistiche hanno avuto lo stesso peso attribuito ai momenti di aggregazione e solidarietà che le accompagnava. Ad Atene ha vinto Baldini, un pazzo ha fatto la sua sceneggiata, ma è finita lì. A New York no. La prima domenica di novembre per qualche ora il mondo si ferma e corre. Lo so. Non tutti possono far parte di quella schiera di privilegiati che può spendere un migliaio di euro e più per vivere quell’avventura. Tuttavia, per chi può, mi sento di consigliare quell’esperienza. Da farsi senza l’aspirazione di fare il proprio record, non per vantarsi di esserci stati o di aver terminato “una” maratona, ma per vivere la corsa con quello stesso spirito che tu promuovi e che io, forse, ho scoperto per la prima volta proprio in quei giorni di 5 anni fa quando al colpo di cannone fui abbracciato da decine di sconosciuti di nazionalità diverse che mi auguravano “buona corsa”. L’intensità di quei momenti non l’ho più ritrovata. Né in altre maratone, né in gare di triathlon, Ironman compreso. In fondo pensiamoci. Gente come Gianni Morandi, o altri personaggi famosi, cui le emozioni e appagamenti nella vita non sono certo mancati sono rimasti affascinati ed entusiasti. Un motivo ci sarà.

Un giorno, mi piacerebbe leggere sul tuo sito le tue impressioni su quella gara. Ammetto che mi hai stroncato una speranza.

Potrei rispondere alla tua bella mail in modo sbrigativo. Per esempio, che sei l’eccezione che conferma la regola oppure che la nycmania rende la partecipazione alla maratona di New York NECESSARIA mentre nulla osta contro una generica partecipazione.

In realtà mi preme sottolineare alcuni tratti psicologici della tua risposta che possono trovare validità generale.

Promozione della corsa – Non sono proprio così certo che “la prima domenica di novembre per qualche ora il mondo si ferma e corre.”. Penso che l’audience della trasmissione abbia avuto uno share “normale”, paragonabile a quello di altre maratone italiane. Fra chi corre è normale assistere a New York come alla maratona di Venezia la domenica mattina. Fra i “sedentari” non penso che siano molti quelli che si sono sorbiti due ore di maratona con nomi di protagonisti assolutamente impronunciabili. Se fosse così sarebbe nota un’audience di 5-6 milioni di telespettatori (quelli di Beautiful, tanto per intenderci), cosa che non è.

Sicuramente Baldini (vincitore della prova olimpica nel 2004) ha fatto molto di più per la corsa perché la cornice olimpica cattura anche i non sportivi (oltre al fatto che è italiano) e resta nel tempo. Inoltre Baldini può essere un traino per un ragazzino che non si esalta di certo nel vedere il ponte di Verrazzano invaso da runner che sembrano lo zio Luigi che sbanfa a ogni scatto che fa giocando a pallone.

Unicità dell’evento – Sicuramente gli eventi vengono vissuti dalle persone in modo diverso, a seconda della loro sensibilità. Penso che però sia importante non avere la necessità della grandeur (termine francese che rende benissimo quello che voglio dire) per scatenare le proprie emozioni. Ci sono molte persone che non vivono se non hanno l’adrenalina a mille. In genere sono persone che prima o poi non riusciranno a vivere perché, prima o poi, si assuefaranno a tutto. Così è per le emozioni; cercare la grandeur può essere una strategia che però o lascia sempre un briciolo insoddisfatti (come chi sogna di guidare una Ferrari, di vedere il suo film preferito sul televisore da 20.000 euro, di passare un mese a Tahiti ecc.) o, se si ha la fortuna di trovarla spesso, di non avere più mete che ci emozionino.

Che dirti? Io sono forse troppo semplice per apprezzare certi eventi e, alla fine, ne dissacrerei l’essenza. Alcuni si inebriano di sentirsi “abbracciati da decine di sconosciuti di nazionalità diverse che augurano buona corsa”. Io avvertirei solo il fastidio di chi mi obbliga a cambiare direzione, mi fa perdere secondi e mi rompe il ritmo. Insensibile? Può darsi.

Qualche giorno fa mia moglie, evidentemente impazzita, decise di provare un test su 10 km (dopo anni, senza nessuna forzatura da parte mia, è passata dalla palestra alla corsa); la giornata era ideale, con una leggera pioggerellina che stava lasciando spazio al sereno e con una temperatura primaverile. Partimmo sul solito percorso, in mezzo ai campi che conosco palmo a palmo perché ci passo giornate intere con il mio springer, ne apprezzo i colori e ogni forma di vita. Correvo sciolto, ma mezzo metro indietro a mia moglie perché l’amore può avere tante forme, anche la preoccupazione di evitare una piccola delusione. Man mano che i km passavano nasceva la sicurezza del risultato e potemmo rilassarci con qualche battuta; poi, incredibile a dirsi, verso la fine un grande arcobaleno ci accompagnò nella lunga e grande volata finale, un arco d’arrivo che il vincitore di New York nemmeno si sogna. Il 51’17” finale l’ho scritto sull’agenda con la nota: “effetto arcobaleno”.

Insensibile a New York? Può darsi. Ma, forse le emozioni preferisco cercarle dentro di me con cose minime che posso trovare ogni giorno, in modo che ogni giorno per me possa essere New York.

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