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Migliorare la resistenza alla fatica

Una delle metodiche che vengono impiegate per migliorare la resistenza alla fatica dell’atleta consiste nel progressivo a esaurimento (massimale). Il soggetto compie tratti a velocità sempre maggiori fino ad arrivare all’ultimo tratto corso al massimo. Tale metodica può dare buoni frutti solo con i principianti, mentre con professionisti o con amatori esperti non produce frutti significativi.

Infatti l’atleta navigato è abituato comunque a “tener duro”, qualità che allena sovente in gara quando deve reggere un avversario che detta il ritmo. Eseguire un progressivo massimale non vuol dire altro che simulare una gara in progressione. In tale gara l’atleta userà il suo attuale stato di sopportazione alla fatica, frutto di decine di esperienze precedenti. È cioè ottimistico sperare che un progressivo massimale possa essere più “allenante” mentalmente rispetto a una gara dove l’atleta si impone di non mollare chi lo precede.

Nel progressivo massimale c’è anche un’altra difficoltà: molti atleti barano, arrivando in condizioni di relativa freschezza nell’ultimo tratto che viene corso come una gara. Bastano 2-3″/km per consentire l’esecuzione del progressivo massimale senza che ci sia stato un reale allenamento mentale. Poiché per l’atleta è gratificante finirlo, se è intelligente, si “metterà nelle condizioni” di arrivare alla fine.

In altri termini, perché ci sia allenamento mentale (come accade per quello fisico) è necessario superare il livello di prestazione attuale per generare una supercompensazione che dia effetti duraturi. A livello mentale tale superamento può esserci per poche decine di secondi. Nessuno infatti riesce a superare i suoi livelli attuali di fatica per decine di minuti (o meglio, nessuno in condizioni psichiche normali). L’analogia con l’aspetto fisico è quella che descrive il miglioramento su un 10000 m di un atleta ben allenato in termini di 2-3 minuti: impossibile in una sola volta.

Pertanto:

condizione necessaria per un miglioramento mentale della soglia di fatica è che il superamento di tale soglia sia programmato per un tempo relativamente breve.

Appare del tutto ottimistico perciò predisporre allenamenti lunghi e massacranti che hanno l’unico scopo di mettere alla prova il grado attuale di soglia di fatica, non di migliorarlo!

migliorare la resistenza alla fatica

Nessun soggetto, in condizioni psichiche normali, riesce a superare i propri livelli attuali di fatica per decine di minuti

I 100 m della morte

Poiché è necessario scegliere prove brevi nelle quali il soggetto superi di poco il suo attuale stato di soglia di fatica, una distanza ideale sono i 100 m, corrispondenti in termini di tempo a due o tre decine di secondi a seconda del valore del soggetto.

Ecco la prova.

  • Sia RG il ritmo gara che il soggetto riesce a tenere (oggi, con queste condizioni meteo ecc.) sui 3000 m. Come si vede è fondamentale che l’atleta (o il suo allenatore). conoscano le condizioni attuali.
  • Si corrono 2000 m al ritmo RG.
  • Si recuperano 2′ da fermo.
  • Si parte per l’ignoto a ritmo RG. Ogni 100 m l’atleta deve decidere se andare avanti o fermarsi.
  • Se l’atleta rallenta viene fermato (deve essere consapevole di ciò).

Ovvio che non potrà arrivare ai 3000 m (altrimenti RG è sbagliato!) perché ha nelle gambe il 2000 m precedente. Incredibilmente si scoprirà che il timore di essere “eliminato” porterà l’atleta a dare un quid in più delle reali possibilità.

Da notare che, poiché l’atleta viene fermato quando inizia la crisi, l’allenamento non è particolarmente più dispendioso dal punto di vista organico di un normale test sui 3000 m.

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