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Ciclo psicologico del maratoneta

Perché parlare del ciclo psicologico del maratoneta? Presto detto: se il numero annuale di maratoneti è in leggero aumento, è invece in netto aumento il numero di chi corre la maratona per la prima volta.

Ai più questi dati sembrerebbero confortanti, ma, a ben vedere, le cose non stanno esattamente così.

Infatti, dall’analisi comparata dei due fenomeni si deduce facilmente che molti “vecchi” maratoneti non la corrono più.

Esiste cioè un turnover piuttosto evidente che non depone a favore del wellrunning, cioè della corsa in funzione del proprio benessere.

Infatti, chi smette di correre dopo dodici mesi è nelle stesse condizioni di chi non ha mai corso, avendo perso tutti i benefici salutisti dello sport.

Si potrebbe obiettare che molti abbandonano la maratona, ma continuano a praticare sport e corsa, in particolare limitando l’impegno, ma mantenendolo comunque sufficiente per un ottimo stato fisico.

In realtà le cose non sono proprio così: dai dati che ho raccolto emerge che l’ipotesi precedente è vera per circa il 50% dei runner ex-maratoneti; l’altro 50%, purtroppo, abbandona completamente l’attività sportiva.

La stessa cosa, invece, non accade per chi corre le classiche corse su strada di 10-12 km; anche chi abbandona l’agonismo continua a fare sport in maniera per lo meno sufficiente.

Il motivo principale è sicuramente il fatto che 40-50 km a settimana corsi da jogger consentono di mantenersi piacevolmente in forma e di avere un gap con i precedenti risultati non troppo demotivante dal punto di vista psicologico.

Il maratoneta che “corricchia” scopre ben presto che nella sua gara del cuore c’è un abisso fra il suo stato attuale e quello dei tempi d’oro. E, demotivato, decide di abbandonare lo sport.

Da questo punto di vista la maratona in questo appare analoga al ciclismo dove l’allenamento è spesso approssimativo per ristrettezza dei tempi di preparazione.

È importante perciò che il maratoneta gestisca il ciclo psicologico di approccio alla gara in modo cosciente, sapendo esattamente cosa significhi “orientarsi alla maratona”.

Il primo stadio

Il primo stadio è sempre un obiettivo sfidante: il correre una distanza per molti versi “epica”. Sia che si parta dal livello di sedentari, sia che si parta dal livello di runner, la molla è la distanza, la sfida con il muro, la sfida nel terminare una prova mai corsa.

Il secondo stadio

Qui le cose si fanno più complicate. Un 15% dei maratoneti finisce molto male la propria maratona e abbandona; un 65% la termina male (cioè con la seconda parte decisamente più lenta della prima), ma è spinto dall’idea di riprovarci e di migliorare, un 10% la finisce su livelli molto accettabili per il proprio reale valore sui 10000 m (costituisce l’insieme degli “arrivati”, intendendo con questo termine il fatto che i loro margini di miglioramento sono obiettivamente minimi), un 10% la finisce in modo molto facile.

Questi dati ci dicono che esiste una larga fetta della popolazione dei neo-maratoneti (65+10=75%; lo chiameremo l’insieme dei miglioranti) che può migliorare semplicemente allenandosi meglio e correndo la maratona in modo più consono al proprio valore. Questo è un boomerang molto pericoloso.

Il terzo stadio: gli arrivati

Il ciclo psicologico del maratonetaPerso il 15% di chi l’ha finita talmente male da farci su una croce, dobbiamo esaminare il 10% degli arrivati e il 75% dei miglioranti. Gli arrivati si suddividono in top runner (che evidentemente continueranno a correre la maratona perché sono gratificati dalla loro posizione in classifica) e amatori.

Gli amatori che hanno ottenuto un tempo consono al loro valore sui 10000 m hanno seguito un ottimo programma di allenamento; per migliorare nettamente sulla maratona devono perciò migliorarsi sui 10000 m. In assenza di questo miglioramento continueranno a replicare all’incirca lo stesso tempo in maratona. Questo concetto sfugge a molti, illusi dal credere che la seconda maratona sarà sempre e sicuramente più veloce della prima. Errore. Se si è ben allenati, già nella prima maratona si può ottenere un tempo vicino ai propri limiti fisiologici (ovviamente valutati per l’intensità e la frequenza dell’allenamento svolto).

Molti arrivati pertanto chiudono il loro ciclo di maratoneti dopo due o tre maratone perché restano sugli stessi livelli o continuano a peggiorare leggermente.

Il grave è che molti chiudono anche con la corsa perché non trovano più quelle soddisfazioni esistenziali che dava loro la maratona.

Il terzo stadio: i miglioranti

Anche molti miglioranti abbandonano per l’incapacità di allenarsi correttamente, vittime di ambizioni esagerate o di “allenatori” approssimativi. Una percentuale di miglioranti riesce però effettivamente ad avere grandi progressi, gestendosi meglio. Ed è a questo punto che nasce una nuova potenziale insidia: il record personale.

Il migliorante trova una gratificazione incredibile, spesso eccessiva, nei progressi “fittizi” (nel senso che sono dovuti solo a un approccio troppo soft, del resto corretto per un neofita, o in un approccio nettamente errato nella prima maratona) e decide di diventare maratoneta.

Nel giro di 4-5 maratone arriva però effettivamente al top, da migliorante diventa arrivato. Per lui il contraccolpo è però molto forte perché su quei miglioramenti continui aveva costruito la sua vita sportiva. Adducendo varie cause (il lavoro, la famiglia, piccoli infortuni, l’età ecc.) incredibilmente abbandona la maratona e quel che è peggio la corsa.

Questo è il fenomeno più grave perché allontana dallo sport tanti atleti potenzialmente validi, colpevoli solo di non aver compreso in pieno la loro caratura atletica e di aver basato il loro amore per la corsa solo sul risultato.

La morale

Non è che una: se volete correre la maratona corretela, se volete diventare maratoneti, fatelo, ma non dimenticatevi che non è una condizione necessaria per correre per la salute e per il proprio benessere.

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