Prima di parlare di allenamento nella corsa è opportuno chiedersi quali siano gli obiettivi di quest’ultimo. Lo scopo principale dell’allenamento, dal punto di vista medico, non è il raggiungimento di una data prestazione, ma realizzare il processo di adattamento che permette al fisico di sostenere i carichi di lavoro senza incorrere in traumi e infortuni. Si può dire che
lo scopo dell’allenamento è realizzare l’adattamento del corpo umano al gesto atletico.
Questo processo è possibile perché il corpo umano è in grado di reagire agli stimoli esterni e automodificarsi in modo da produrre una reazione più appropriata. Ciò lo differenzia da un sistema meccanico (un motore), che invece non è in grado di adattarsi, ovvero di modificarsi. Però il corpo umano limita le sue capacità di adattamento reagendo solo a particolari stimoli, non a tutti. Essi sono in grado di sollecitare i meccanismi biologici che permetto al corpo di adattarsi. Tali meccanismi sono innescati in base ad alcuni principi basilari: il sovraccarico, la progressione, la specificità, gli effetti incrociati e inversi, l’interferenza e il riposo. Vediamoli in dettaglio.
Principio di sovraccarico
Se una parte del corpo umano viene sollecitata in maniera maggiore rispetto alla normale attività, si realizza il sovraccarico: per esempio, correndo, la frequenza cardiaca si alza rispetto a quella a riposo. Le alterazioni indotte dal sovraccarico permettono di allenare il corpo, migliorando l’adattamento. Si è anche visto che
per poter avere effetti allenanti, il sovraccarico non deve scendere al di sotto di una certa soglia.
Per esempio, se un sollevatore di pesi solleva in allenamento solo carichi di poco superiori a quelli che riesce a sollevare normalmente, il suo grado di allenamento (ovvero l’efficacia dell’adattamento) sarà quasi nulla.
Il livello inferiore al di sotto del quale il sovraccarico non può scendere si dice livello di fitness. In termini più generali, chi sta sotto al livello di sovraccarico sta facendo low-intensity training.
Principio della progressione
Questo principio è diretta conseguenza del precedente: una volta che il corpo si è adattato al nuovo carico, occorre aumentare lo sforzo effettuato, aumentando durata, intensità o frequenza di allenamento. Si deve quindi attuare una progressione, possibilmente in modo graduale per dare il tempo e l’opportunità al corpo di adattarsi al nuovo sovraccarico.
La progressione dipende anche dal livello di partenza dello stato fisico dell’atleta, ovvero dal suo livello di fitness. Si è inoltre osservato che
gli effetti del sovraccarico, ovvero l’adattamento del corpo, si attuano nei periodi di recupero tra una seduta di allenamento e la successiva.
Addirittura i processi di adattamento sono bloccati se i periodi di recupero sono troppo brevi. Facendo seguire a una fase di sovraccarico una di recupero e una diminuzione del sovraccarico si realizza un ciclo di allenamento ottimale che evita infortuni e permette al corpo di mettere in pratica i meccanismi dell’adattamento.
La specificità nell’allenamento nella corsa
Una cosa che deve esser chiara nell’allenamento è lo scopo che si vuole raggiungere. Discipline diverse impiegano distretti muscolari diversi, e solo quelli coinvolti saranno oggetto del sovraccarico. Nell’ambito della stessa disciplina, per esempio la corsa, si possono osservare effetti di specificità: la capacità aerobica coinvolge solo i muscoli interessati, mentre l’attività anaerobica ha maggior effetto sul muscolo cardiaco e sui parametri del sangue.
La corsa di resistenza, pur introducendo un guadagno generale a livello cardiovascolare, ha cioè sempre un effetto confinato ai muscoli coinvolti. Un allenamento anaerobico per la corsa ha effetto minimo sul nuoto e viceversa. La specificità è anche evidente negli esercizi di ginnastica: una serie di contrazioni muscolari isotoniche permettono di guadagnare forza solo per il valore di angolazione dell’articolazione interessata dall’esercizio.
Gli effetti dell’allenamento
Gli effetti possono essere di due tipi: incrociati e inversi. In un famoso studio risalente al 1894 [1] si è visto che, compiendo esercizi che allenano un solo arto, anche l’altro presenta un aumento di forza: questo risultato è confermato anche da uno studio più recente [2]: se quello esercitato incrementa la sua forza di circa il 13%, quello non allenato arriva a un incremento di poco inferiore al 9%. Si pensa che ciò sia dovuto al fatto che gli impulsi nervosi sono comunque inviati anche all’arto non allenato, che compie un allenamento di tipo isometrico [3]. Gli effetti incrociati sono limitati, in quanto si riferiscono al fatto che la specificità non è completa: allentandosi per la corsa di resistenza, non si può pensare di sviluppare la forza degli arti inferiori (non è specifica di questa disciplina), ma un allenamento costante provocherà un aumento di forza nelle gambe rispetto a un sedentario.
L’attività anaerobica ha maggior effetto sul muscolo cardiaco e sui parametri del sangue
L’effetto inverso
Se l’allenamento viene interrotto, i miglioramenti conseguiti si perdono nel tempo. Questo fatto è ben noto ai runner, al punto che alcuni sono terrorizzati anche all’idea di perdere una sola seduta di allenamento. In realtà l’effetto inverso si manifesta in modo complesso e soprattutto
l’effetto inverso dipende anche dal grado di allenamento raggiunto al momento dello “stop”, quindi le sue conseguenze sono difficilmente quantificabili perché soggettive.
Tuttavia è possibile stimare approssimativamente l’effetto inverso indicando dei valori medi: se dopo 25 settimane allenamento si interrompe, la perdita di forza negli arti è circa 0,3-1% al giorno per un’attività da sedentario, fino al 5% se l’arto rimane immobilizzato. La velocità di decrescita della forza muscolare non è costante, ma è massima nella prima settimana, decresce più lentamente tra 4 e 6 settimane quindi rimane costante. L’effetto inverso coinvolge anche grandi campioni che presentano parametri di prestazioni eccezionali.
Uno studio effettuato su atleti con un valore di massimo consumo di ossigeno decisamente elevato (41% in più rispetto alla media) dopo 25 anni presentava valori dello stesso parametro paragonabili a sedentari o addirittura inferiori a individui sedentari della stessa età.
L’interferenza
Tipi di allenamento diversi possono andare in conflitto tra loro, interferendo nella realizzazione dell’adattamento: se si vuole allenare contemporaneamente forza e resistenza, gli effetti saranno minori di quanto invece non si avrebbe se i due tipi di allenamento fossero effettuati da soli. Il corpo umano quindi reagisce meno efficacemente se sottoposto a stimoli diversi, come se le due tipologie di allenamento interferissero tra loro (da qui il termine). Allenarsi per la resistenza può interferire con l’allenamento volto a incrementare velocità e potenza. Se le tipologie di allenamento vengono effettuate in periodi messi in serie tra loro (uno dopo l’altro) si può diminuire o annullare l’effetto dell’interferenza, però purtroppo si innesca l’effetto inverso, cioè il deallenamento di quella tipologia che viene abbandonata a favore della nuova.
L’interazione fra interferenza ed effetto inverso è particolarmente importante e una sua cattiva interpretazione è alla base di molti insuccessi di tabelle di allenamento che non tengono praticamente conto che è impossibile massimizzare in assoluto parametri che fisiologicamente sono comunque in controtendenza (per esempio velocità e resistenza).
L’abilità dell’allenatore consiste nel riuscire a scoprire qual è il limite per cui l’allenamento al fattore secondario (per esempio la velocità) non penalizza quello primario (per esempio la resistenza). Tale limite dipende ovviamente dalle caratteristiche dell’atleta, ma, nel caso dell’amatore, anche dal tempo a disposizione e dalle sue capacità di recupero.
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Bibliografia
[1] E. Q. Scripture, T. L. Smith, E. M. Brown: On the education of muscular control and power. Studies of Yale Psychological Laboratory 2: 114-119, 1894.
[2] L. G. Shaver: Cross transfer effects on conditioning and de-conditioning on muscular strength. Ergonomics 18: 9-16, 1975.
[3] P. J. Rush, E. L. Morehouse: Effects on static and dynamic exercises on muscular strength and hypertrophy. Journal of Applied Physiology 11: 29-34, 1957.