Sulle relazioni fra mente e corpo sono stati scritti fiumi di parole e a tutti è noto il detto latino tratto dalle Satire di Giovenale: Mens sana in corpore sano. La gran parte di questi contributi ha un taglio prettamente filosofico. Persino il famoso esperimento di Pavlov può essere interpretato in maniera diversa a seconda dei punti di vista. Per chi non lo conoscesse, lo ricordiamo velocemente.
L’esperimento di Pavlov
Nei primi anni del XIX secolo il russo Pavlov e l’americano Thorndike ottennero risultati significativi con una serie di esperimenti sull’apprendimento. Pavlov era un fisiologo e i suoi studi ebbero grande importanza anche in campo neurobiologico (ottenne infatti il Nobel)
I suoi studi partirono dall’osservazione che i cani aumentavano la salivazione al semplice rumore delle ciotole sul pavimento, anche se non le vedevano direttamente. Pensò di ripetere le osservazioni in laboratorio e concluse che era possibile trasformare un riflesso naturale o incondizionato (salivazione) in riflesso condizionato (la salivazione associata al rumore della ciotola o di un campanello che preannuncia l’arrivo del cibo).
Il suono del campanello diventa l’equivalente del cibo riguardo al processo di salivazione. Pavlov definì pertanto lo stimolo condizionato (il suono del campanello) e il riflesso condizionato (la susseguente salivazione). Fornì anche una controprova: eliminando la somministrazione di cibo, in poco tempo il suono del campanello non produceva più alcuna salivazione.
Gli studi di Pavlov e le relative conclusioni furono sicuramente influenzate dall’epoca. Ascoltiamo per esempio cosa ci dice il grande filosofo Karl Popper (1989): “Il famoso cane di Pavlov, che si pretende abbia imparato mediante il riflesso condizionato, era, come tutti i cani, attivamente interessato al suo cibo. Se non lo fosse stato, non avrebbe imparato nulla. In tal caso, ha stabilito la seguente teoria: quando il campanello suona, arriva il cibo. Questa è una teoria e non un riflesso condizionato.”
Popper cioè contesta l’interpretazione pavloviana dell’esperimento, tenendo anche conto che durante gli esperimenti i cani erano bloccati da una speciale imbracatura. Se fossero stati liberi, la salivazione non si sarebbe prodotta (anche se il campanello suonava!), ma si sarebbero diretti immediatamente verso il cibo.
Ovvio che la posizione di Pavlov ha senso se si ritiene il cane un essere “stupido”, incapace di formulare teorie, quella di Popper al contrario è giustificata se si ritiene il cane un essere intelligente. Non a caso anche agli uomini “viene l’acquolina in bocca” al pensiero di un cibo particolarmente appetitoso”. Basta il pensiero, senza campanelli o altre diavolerie.
Risulta altresì chiaro che la moderna visione del cane come animale intelligente ridimensiona gli esperimenti di Pavlov.
La diatriba Pavlov-Popper cosa ci insegna?
Esiste una grande differenza fra filosofia e scienza.
Il filosofo non ha il dovere di dimostrare le sue teorie, mentre lo scienziato sì.
E dimostrare le proprie teorie non significa solo darne un’interpretazione (come fece Pavlov), ma mostrare che quell’interpretazione è la sola possibile.
In molte branche della scienza la dimostrazione è impossibile cosicché molti scienziati diventano filosofi. Pensiamo all’astronomo che, affascinato dai misteri del cosmo, non può esimersi dal proporre una propria teoria sulla nascita dell’universo. Per quanto giustifichi con congetture geniali ed efficaci la sua teoria, non sarà in grado (con gli strumenti attuali) di dimostrare che la sua è l’unica interpretazione possibile. Il molto plausibile resta cioè filosofia e non scienza. Tant’è che le varie teorie si susseguono e si accavallano sopraffacendosi a vicenda, senza che alla fine ci sia un vincitore certo (cerchiamo di non ragionare con l’ottica di qualche decennio, ma di secoli!). Un po’ come in politica: molte sono le posizioni ragionevoli, ma nessuno può affermare che sia possibile dimostrare che la propria sia l’unica giusta.
Questa lunga premessa per dire che nei rapporti mente-corpo si è fatta e si fa ancora molta filosofia; nel dopoguerra sono stati condotti molti esperimenti interessanti, le cui interpretazioni però sono state spesso “forzate” nella direzione voluta da chi le interpretava. Prova ne è che non esistono a oggi risultati pratici significativi (cioè fruibili dalla gran parte della popolazione) di questi esperimenti. Alla luce di ciò:
nello sport l’importante è capire quali sono i limiti dell’interazione fra mente e corpo.
Nello sport una mente forte è positiva quando genericamente il rapporto ottimale fra mente e corpo è analogo a quello fra madre e figlio
Mente e corpo oppure mente O corpo?
Notate la O maiuscola; per alcuni soggetti mente e corpo non sono due unità cooperanti e molto flessibili, ma al loro interno esiste una gerarchia molto rigida. Se consideriamo un fumatore, un alcolista, un tossicodipendente, sarà subito evidente un punto comune: tutti e tre non sanno rispondere adeguatamente ai “comandi” del loro corpo in astinenza.
Non è necessario rifarsi alla tipologia dei dissoluti per trovare esempi di persone che non hanno una “mente forte”. Tali esempi li troviamo facilmente anche nelle tipologie degli svogliati, degli inibiti, dei sopravviventi o dei deboli. Viceversa, in altre tipologie (mistici, violenti, romantici, contemplativi) possiamo trovare persone con una mente così forte da soggiogare completamente gli stimoli corporali. Ovviamente anche nelle personalità equilibrate troveremo persone dotate di una mente forte.
Nello sport una mente forte è positiva quando genericamente il rapporto ottimale fra mente e corpo è analogo a quello fra madre e figlio.
Pensate a una buona madre e penserete a una buona mente!
- Una buona madre sa ascoltare il figlio -> la mente deve saper ascoltare il corpo per evitare infortuni;
- una buona madre sa spronare il figlio verso obiettivi realistici, ma importanti -> la mente deve saper smuovere il corpo dalla sua eventuale pigrizia verso obiettivi realistici e sfidanti;
- una buona madre sa insegnare la vita al figlio -> la mente deve guidare il corpo tramite un percorso di conoscenza alla sua massima espressione:
- ecc.