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La via chimica al benessere

Nella ricerca del benessere si utilizzano molte volte strumenti il cui potenziale è spesso ottimistico; è interessante notare come molti di questi strumenti facciano parte di quella che chiamo la via chimica: l’impiego di sostanze che dovrebbero garantire un livello di benessere decisamente sopra la media, proteggendoci da malattie o migliorando le potenzialità del nostro corpo.

La via è semplicistica perché sostanzialmente dimentica sicuramente la parte genetica (la “cilindrata” dei nostri organi), quella fisiologica (le modalità di funzionamento degli organi) e quella mentale (i comandi, consci o no, al nostro corpo) del nostro organismo. Per capirci, con un paragone un po’ forzato, sarebbe come valutare le prestazioni di un’auto dal livello di benzina che c’è nel serbatoio.

Della via chimica (o farmacologica) al benessere esistono innumerevoli esempi. Nei primi anni del XX secolo la scoperta delle vitamine e la successiva sconfitta di molte malattie (avitaminosi come lo scorbuto, il beri-beri, la pellagra ecc.) fece credere di aver scoperto un’arma fondamentale per la salute dell’uomo, la lotta all’invecchiamento, al cancro ecc.In effetti, a tutt’oggi il ruolo delle vitamine è ancora importante, ma sicuramente nessuno pensa, prendendo vitamine, di essere al riparo da cancro, morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson ecc.

Uno scenario analogo si ripresentò dopo la scoperta degli antibiotici, fino al punto che si arrivò ad abusarne per qualunque tipo di patologia.

Esempi meno eclatanti sono rappresentati dai molti integratori che vengono venduti ognuno come la panacea di tutti i mali oppure l’adozione di un certo regime alimentare come garanzia di salute eterna ecc.

Per ridimensionare questo approccio, basta rendersi conto che la semplice valutazione chimica di due soggetti (per esempio il contenuto di minerali o di composti organici nel loro sangue) è solo debolmente correlato con il grado di salute. Avere valori normali è, al più, condizione necessaria, ma non certo sufficiente, per uno stato di buona salute. Tant’è che esistono individui perfettamente “sani” che sono spesso malaticci e altri che invece non hanno mai fatto un’influenza. Evidentemente nei primi la genetica, la fisiologia, la psicologia (oltre ad altri fattori) sono decisamente meno performanti rispetto ai secondi.

La via chimica al benessere, oltre a essere semplicistica, porta spesso chi la segue ciecamente verso atteggiamenti maniacali (come l’ortoressia nei confronti dell’alimentazione) perché l’assunzione di determinate sostanze diventa quasi un rito scaramantico, una necessità che nei casi più gravi sfocia in vere e proprie dipendenze.

L’importanza di molte sostanze per la nostra salute non va negata, ma nemmeno sopravvalutata. Per capire come evitare di farlo, si deve comprendere che, al di là di certe quantità (che peraltro sono soggettive, in genere i dati che vengono trasmessi al grande pubblico sono medie sulla popolazione) non si hanno benefici e che, comunque,

è molto più importante evitare carenze che arrivare alla dose ottimale.

Per chi non fosse ancora convinto, riporto un esempio che spiega perché molti atleti che sono soliti bombardarsi di ferro per correggere presunte anemie ottengono solo l’effetto di danneggiare il loro organismo (il ferro si accumula nel fegato provocando l’emocromatosi).

Il modello dell’incendio e l’anemia dello sportivo

via chimica al benesserePer descrivere una situazione di crisi del nostro organismo utilizzo spesso un modello denominato modello dell’incendio.

La situazione di crisi dell’organismo può essere rappresentata come un incendio che deve essere spento da un certo numero di pompieri che trasportano con una certa velocità dei secchi d’acqua prelevati da una cisterna. La cisterna inizialmente può essere più o meno piena e viene rifornita da autobotti che scaricano il loro contenuto d’acqua con una certa frequenza e con un certo volume.

Il modello ha molte variabili, alcune delle quali possono essere trascurate (per esempio il numero e la presenza delle autobotti). Adattando le variabili (l’intensità dell’incendio, il numero dei pompieri, la velocità di trasferimento, la grandezza dei secchi, il livello della cisterna ecc.) al caso concreto si possono descrivere e comprendere efficacemente molte situazioni fisiologicamente significative.

Per introdurre il modello d’incendio nella corsa, dobbiamo pensare che l’incendio è rappresentato dalla necessità d’ossigeno dei nostri muscoli. Per spegnere l’incendio il sistema cardiovascolare usa come pompieri i globuli rossi ognuno dei quali ha un secchio più o meno capiente, la quantità di emoglobina che porta con sé. L’acqua è rappresentata dall’emoglobina (o se vogliamo dal ferro, dalla vitamina B12 e dall’acido folico che entrano nella sintesi dell’emoglobina).

L’incendio può essere spento più facilmente se si aumenta:

  • il numero dei pompieri (i globuli rossi, con tecniche di doping come autoemotrasfusione o eritropoietina, l’ormone che stimola la produzione di globuli rossi)
  • la dimensione dei secchi (con l’allenamento)
  • la quantità d’acqua nei secchi.

Somministrando ferro, vitamina B12 e acido folico si può agire solo sull’ultimo punto; cosa del tutto inutile se secchi troppo piccoli sono già pieni (situazione che è la più comune negli sportivi). Figurativamente, si otterrebbe solo un danno: l’acqua uscirebbe dai secchi e addirittura ostacolerebbe il lavoro dei pompieri!

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