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Bambino che piange

Perché un bambino piange? Trascurata la banale considerazione che il bambino piange quando non sta fisicamente bene, si scopre che la stragrande maggioranza dei genitori non sa rispondere alla domanda.

Il motivo di questa mostruosa ignoranza è che la gente pensa che “fare i genitori sia naturale e quindi facile”; personalmente penso che “essere genitori” sia banale (non a caso un famoso detto recita che la madre dei cretini è sempre incinta”), “essere buoni genitori” è molto difficile, tanto che spesso i figli peggiorano la qualità della vita del soggetto, che li avuti semplicemente condizionato dal fatto che “si devono fare figli“.

Essere genitori è come correre una maratona: chiunque ci riesce, ma pochi si divertono. Una qualunque persona sana che parte per la maratona arriva in fondo, magari camminando per tutto il percorso, dopo 12 o 15 ore, ma, se vuole, ci arriva: il ricordo il più delle volte è di un’esperienza negativa, pesantissima, un “sacrificio” quasi eroico. Se la persona è allenata, a volte sbaglia lo stesso, si sopravvaluta e arriva stremata in 3 ore e mezza oppure si sottovaluta e non ottiene il meglio. Solo una piccola percentuale arriva con il sorriso sulle labbra, molto vicina ai propri limiti.

Sono coloro che hanno imparato a conoscersi e hanno studiato la corsa (magari leggendo i miei libri!).

Ma chi studia per fare il genitore? Pochissimi.

bambino che piangeUn aneddoto. Tempo fa, entriamo in un ristorante per un pranzo veloce; accanto a noi una coppia con la figlia di due anni circa. Dall’antipasto al caffè, un pianto unico con urla e strepiti; i genitori usano diverse tecniche, dallo scapaccione alla parola di comprensione, dalla restrizione (“stai seduta”) alla libertà (“vai a vedere chi passa in strada”): nessun risultato. Dov’è l’errore? Lo trovate a fine pagina, ma escludete quello più fantasioso (anche se possibile…) che la bimba piangesse, disperata, per avere due genitori simili.

Qualche giorno dopo, da due nostri amici, una bimba di un anno, sorridente, positiva, una favola per tutto il giorno che siamo stati insieme.

Chiesti lumi ai due genitori-modello, in primo piano il loro impegno a studiare come essere buoni genitori: lasciate perdere la genetica, il carattere e baggianate simili e concentratevi sul rapporto con il bambino. Il bambino sano piange per il semplice fatto che non si trova a suo agio. Alcune notizie sgradevoli:

1) questa società non è fatta per supportare la genitorialità. Nonostante quello che le istituzioni vogliono farci credere, il bambino è un pacco scomodo che deve essere gestito al meglio (certo non è gestirlo al meglio dimenticarlo in un’auto chiusa in piena estate!). Ecco allora che ci si inventano “comode” teorie (il bambino deve mangiare a orari prestabiliti, deve imparare a dormire alla tal ora, deve socializzare all’asilo nido ecc.) che ottimizzano la gestione del pacco.

2) Gli adulti aderiscono quasi con sollievo a queste teorie e ne aggiungono altre (tipo “con i nonni sta benissimo”, “dobbiamo educarlo in modo da fare le stesse cose che facevamo prima”), arrivando persino a convincersi che una maestra d’asilo nido sia meglio della mamma o che una persona di 70 anni possa dare l’educazione migliore. D’altro canto come si fa? C’è il lavoro, il mutuo della casa, la carriera ecc. L’importante è che il pacco sia un po’ sballottato, ma che non si rompa. Se poi si crepa un po’ e non viene su bene, che sarà mai? Quando sarà grande ci penserà da sé, noi gli abbiamo dato tanto…

Forse tanto, ma non il massimo dell’affetto. Quante mamme si prendono solo tre mesi dopo il parto, rinunciando a un anno di aspettativa, solo per integrare lo stipendio familiare? Quanti padri sarebbero pronti a fare un part-time per stare vicini al loro bambino?

Se tu baratti il tuo tenore di vita con tuo figlio, non sei un buon genitore; controcorrente e durissimo, ma banale. Un bambino ha bisogno di qualcuno che soddisfi i suoi bisogni fisici e affettivi, occorre essere a sua disposizione. Così impara a vivere in serenità e in gioia; una volta accuditi i suoi bisogni, fa da sé e impara a poco a poco a diventare un essere autosufficiente; se è frustrato nei suoi bisogni, soprattutto affettivi, non farà altro che continuare a chiedere (anche con il pianto) e diventerà un essere insicuro e “perennemente chiedente”: nel loro desiderio di libertà, i genitori hanno ottenuto proprio l’effetto contrario!

Se non siete pronti e non amate accudire al massimo i vostri figli, lasciate perdere, vivrete meglio e non farete danni.

So che questo articolo susciterà il fastidio di molti che controbatteranno con la banale difesa per risentimento “ma che ne sa lui, che figli non ne ha?” (un incredibile errore razionale: per parlare di droga non è necessario averla provata!), ma considerate che qualunque alibi adduciate per il vostro non-amore non funziona: io ho vissuto un’infanzia poverissima (che fra l’altro mi ha aiutato a diventare una persona semplice), ma i miei genitori c’erano sempre; mia madre ha rinunciato a lavorare per starmi accanto (fondamentali sono i primi 2-3 anni, non si chiede a una donna di rinunciare per sempre alla sua carriera e oggi esiste anche il part-time) quando avrebbe potuto guadagnare quei soldi che ci avrebbero permesso di avere quel bagno che in casa non avevamo.

* La soluzione è che nessun bambino ama andare al ristorante, stare fermo per un’ora e mezza sulla sedia o sul seggiolone, il pianto non è che un modo di manifestare il proprio disagio. Potete impedire il pianto con le botte, ma la frustrazione da esteriore diventa interiore e capirà che in quel momento non è amato.

 

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