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Effetto serra

L’effetto serra è quel fenomeno naturale per cui una radiazione elettromagnetica viene intrappolata da una membrana semitrasparente (come accade nelle normali serre per fiori e piante).

Che cos’è l’effetto serra

Parlando della Terra, l’effetto serra è la capacità dell’atmosfera di trattenere calore; il fenomeno è dovuto a una variazione del contenuto atmosferico di vapore acqueo, anidride carbonica e metano; un’atmosfera più ricca di questi gas trattiene più calore con conseguente innalzamento della temperatura, a parità di altre condizioni (in altri termini, l’effetto serra non è l’unico fattore che agisce sulla temperatura!).

L’effetto serra è un fenomeno del tutto naturale che alcune attività dell’uomo hanno alterato. La situazione diventa preoccupante solo quando la capacità di adattamento del sistema non è (o non sarà) più in grado di eseguire una retroazione che ristabilisca l’equilibrio termico.

Le attività umane coinvolte nel riscaldamento terrestre dovuto all’effetto serra sono principalmente:

  • respirazione umana e animale (allevamenti)
  • coltivazioni (maggiore produzione di metano)
  • allevamento (maggiore produzione di metano)
  • consumi energetici (impiego di combustibili fossili)
  • bonifiche di aree palustri
  • cementificazione.

Questi fattori hanno prodotto un aumento dei gas serra, aggravato da alcune cause indirette, fra cui si può citare l’uso di clorofluorocarburi (CFC) e di perfluorocarburi che contribuiscono al noto problema del buco nell’ozono.

Al primo posto dei Paesi che emettono la maggior parte dei gas serra ci sono gli Stati Uniti d’America (circa il 30%) mentre la Cina è già al secondo posto.

Importanza dell’effetto serra

Si vuole parlare di effetto serra per legarlo a quella miopia ecologista che ha caratterizzato la fine del XX secolo e che non è ancora stata guarita:

si vede il disastro lontano (nello spazio e nel tempo), ma non ci si accorge di quello che è già attorno a noi.

Il vecchio ecologismo non ha fatto altro che vivere di simboli che hanno aggravato questa miopia. L’ecologista è pronto a salvare l’Amazzonia o i ghiacciai artici, ma non vede ciò che viene distrutto attorno a lui: boschi, foreste, paludi, prati ecc. Se non fermiamo lo scempio attorno a noi, non è ridicolo preoccuparsi di ciò che accadrà fra 50 o 100 anni a migliaia di km di distanza? Anche ammesso che ci siano ricadute su di noi, perché non incominciare a salvare ciò che sta morendo?

Probabilmente perché di questo scempio è in parte responsabile l’ecologista stesso e in parte perché è più facile sognare di salvare il mondo che salvarlo davvero!

L’effetto serra non è che una causa secondaria della causa primaria dei vari disastri ambientali: l’eccesso di antropentropia.

Si provi a riflettere.

  • Se si taglia una pianta, il danno è marginale, se si distrugge una foresta no.
  • Se si costruisce una strada, non si può parlare di attentato alla natura, ma se si costruiscono decine di autostrade e centinaia di vie di comunicazione, il paesaggio ne esce stravolto.
  • Se si bonifica uno stagno, nessuno grida al disastro, ma se si bonificano intere paludi grandi come regioni, beh la situazione non è certo quella di prima.
  • Se si costruisce una villetta a schiera, non si attenta alla natura, ma se se ne costruiscono centinaia per un nuovo complesso residenziale…
  • Un cacciatore non fa danni, ma un milione…
  • Se accendo una stufa non riscaldo il pianeta, ma se alcuni miliardi di persone lo fanno contemporaneamente…

Gli esempi sarebbero infiniti e tutti dimostrano che la stragrande maggioranza dei problemi ambientali sono riconducibili a un aumento dell’antropentropia.

effetto serra

Il vecchio esempio: l’Amazzonia

Il primo esempio di come l’ecologista non voglia prendere coscienza dei danni dell’aumento dell’antropentropia è l’Amazzonia.

L’Amazzonia è una grande regione dell’America meridionale il cui enorme territorio (circa sette milioni e mezzo di chilometri quadrati per venti milioni di abitanti!) si propaga dalle Ande all’oceano Atlantico (soprattutto nel Brasile, 65,7%, ma anche in Perú, Colombia, Ecuador, Guyane, Suriname, Venezuela e Bolivia); l’Amazzonia praticamente coincide con il bacino del Rio delle Amazzoni.

La foresta tropicale (la più vasta al mondo) che la copre per buona parte è oggi in pericolosa diminuzione a causa del costante disboscamento. In 25 anni è andato perso circa il 15% della foresta. Questo dato è allo stesso tempo preoccupante e incoraggiante.

È preoccupante perché si tratta di un fenomeno non marginale, ma è incoraggiante perché la proiezione sposta l’eventuale morte della foresta amazzonica molto in là nel tempo, permettendo di intervenire.

Per la difesa di questa regione si sono mobilitati politici, artisti, organizzazioni ambientali, rendendola il simbolo della difesa della natura. Questa purtroppo è una strategia errata perché quando si costruisce un simbolo da difendere a oltranza, non si può non cadere vittima di situazioni utopistiche, integraliste e astratte. Sicuramente l’Amazzonia rappresenta un terzo delle foreste del pianeta, ma quello che si sta facendo in Brasile avviene in modo molto più massiccio in Africa (77% delle foreste minacciate, fonte WRI, 1999) o in Oceania (76%), visto che in Sudamerica solo il 54% delle foreste è minacciato. Non si può non tenere conto che con l’attuale trend di disboscamento (il trend considerato sulla media di 25 anni: non ci sono ragioni di credere che il disboscamento aumenterà o diminuirà; per esempio secondo il governo brasiliano è diminuito nell’ultimo anno del 50%, mentre per il quotidiano inglese The Independent cresce del 6% all’anno) l’Amazzonia scomparirebbe “solo” nel 2150!

Perché l’Amazzonia è un esempio di miopia ecologista? Perché la sua importanza è diminuita nell’hit parade del verde?

Perché chi cercava di difenderla ha dovuto accorgersi che in moltissime altre parti del mondo, magari proprio nella sua regione, il verde stava sparendo:

in qualunque comune italiano sopra i 5.000 abitanti, negli ultimi 50 anni il verde non antropizzato è diminuito di almeno il 50%.

Addirittura in alcuni comuni non c’è più verde non antropizzato e il fattore antropentropico è uguale a 1. E gli ecologisti che facevano? Pensavano all’Amazzonia… Una volta accortisi di essere patetici nel loro tentativo di salvare ciò che è stato già distrutto attorno a loro, hanno cambiato simbolo.

Il nuovo simbolo: i ghiacciai

L’effetto serra ha permesso la nascita di un nuovo simbolo che consente di distogliere gli occhi da ciò che ci accade intorno: i ghiacciai da salvare! Oppure l’orso polare o gli atolli che rischiano di scomparire per l’innalzamento del livello del mare.

Peccato che anche in questo caso l’ecologista sia così miope da non accorgersi che se è vero che un ghiacciaio sulle Alpi o al Polo perde 100 m l’anno, la città in cui vive ingoia annualmente ben più verde. Se la maggiore attenzione va solo al ghiacciaio come esempio di acqua che serve all’uomo, beh, allora cade ogni nobile sentimento e prende il sopravvento un puro egoismo che potrebbe giustificare la posizione dei tanti che affermano “e che me ne importa di ciò che accadrà fra 50 o 100 anni?”.

Occorre rendersi conto che

l’effetto serra non è che uno  dei devastanti effetti dell’antropizzazione del pianeta.

Ad Al Gore e ai tanti altri che vogliono costruire immagine e business su simboli lontani, mi permetto quindi di ricordare: per essere credibili, fermate prima lo scempio vicino e riducete l’antropentropia del pianeta.

Il piano ambientale

Un piano ambientale serio richiederebbe, in stretto ordine di priorità,

  1. limitazione della popolazione mondiale e dell’espansione umana;
  2. riduzione dell’effetto serra.

Il punto a) rischia di essere altamente impopolare, contrario ad alcune ideologie (come quelle della Chiesa cattolica perché la contraccezione sarebbe fondamentale, sopratutto nei Paesi del Terzo Mondo) e osteggiato dalle centrali del profitto (limitare l’espansione umana significa limitare i profitti).

Ragionevolmente l’antropentropia del pianeta in un secolo non dovrebbe aumentare più del 10%.

Il punto b), una volta realizzato a), sarebbe vincente. Senza a) è solo una buffonata.

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IL COMMENTO

L’era gassiale

Negli anni ’80 del secolo scorso si incominciò demonizzando le industrie e le loro emissioni; vent’anni dopo si passò alle auto e ai riscaldamenti. Nell’ultimo quarto di secolo politici e scienziati si sono accapigliati per dimostrare o che l’effetto serra non esiste o che è il peggiore dei mali, ma tutti, parlandone, lo hanno attribuito a cause sbagliate.

Ora i media cominciano a dirci che la colpa è anche delle mucche. Come già spiegato nella nostra pagina sulla flatulenza, i bovini contribuiscono in modo notevole (20%!) all’effetto serra con le loro emissioni intestinali, tant’è che in Nuova Zelanda è stata messa una tassa per flatulenza di 60 centesimi a mucca e scienziati molto “moderni” stanno studiando modificazioni genetiche su piante e bovini per consentire minori emissioni. Insomma, sembra che fra una decina d’anni la nostra mucca chianina sarà rottamata perché Euro 0.

Quindi, industrie, riscaldamenti, auto, mucche: tutte palle. Ragioniamo un attimo. Se i bovini contribuiscono all’effetto serra con la loro flatulenza, che dire dell’uomo? Anch’egli parzialmente vegetariano (a proposito, i vegetariani saranno banditi e rottamati anche loro), quanto può incidere (consideriamo che anche la degradazione delle proteine porta a gas per nulla innocui sul piano ambientale)? Vi va 20 uomini per una mucca (che pesa mediamente quanto 7 uomini e si nutre, se nutrita a fieno, con cibi che in peso sono 10-20 volte la razione giornaliera umana)?

In Italia le stime danno dai 5 agli 8 milioni di bovini. Quindi, attualmente, la flatulenza umana conterebbe già nell’effetto serra circa la metà del contributo delle mucche, quindi un 10% del totale.

Industrie, riscaldamenti, auto, flatulenza: l’impatto sarebbe molto minore se solo fossimo in meno sul pianeta!

Ragioniamo. L’effetto serra diventerà devastante fra 100 anni? Bene, ma fra cento anni la popolazione rischia di essere il doppio o il triplo di quella attuale. Oltre all’effetto serra, non ci sarà più spazio, si dovrà ricorrere a biotecnologie sempre più raffinate per avere in un metro quadrato il raccolto che prima occupava un campo, il verde sarà un optional con qualche ultimo parco salvato per ricordare all’uomo com’era la Terra prima che strade e case invadessero tutto.

Quindi prenderò sul serio l’effetto serra solo quando ci sarà qualcuno che mi dirà che bisogna fare qualcosa per non far aumentare ancora la popolazione del pianeta.

Ricordatevi dell’ipotesi del cemento e capirete che è ridicolo che noi ci preoccupiamo di abbassare il riscaldamento di un grado quando nel mondo la popolazione continua ad aumentare e… la flatulenza dipinge il pianeta di giallo!

P.S.: Commento da postare a tutti i vostri amici ecologisti.

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