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Il libro: Le vere tabelle nutrizionali    Il video: Il peso forma

Tabelle delle calorie

Ultimi aggiornamenti: 2017

In Rete esistono moltissime tabelle delle calorie ed è molto difficile trovarne due uguali, a meno con non provengano dalla stessa fonte; se siamo di fronte a prodotti acquistati al supermercato possiamo utilizzare l’etichetta alimentare (nutrizionale), ma per prodotti che sono sprovvisti di etichetta (per esempio le ciliegie coltivate nel nostro orto) non possiamo che riferirci a una tabella delle calorie affidabile.

Come vedremo, la definizione del valore energetico di un alimento presenza alcune difficoltà che necessariamente si traducono in approssimazioni, a volte grossolane.

La dichiarazione nutrizionale

Fa parte dell’etichetta alimentare e serve per definire nutrizionalmente il prodotto.

In essa sono riportati (per 100 g o per 100 ml di prodotto e potranno essere affiancati dai dati relativi a una singola porzione):

  • calorie totali (in kJ e in kcal; si legga l’articolo sulle unità di misura)
  • proteine in grammi
  • carboidrati (e gli zuccheri) in grammi
  • grassi e grassi saturi in grammi
  • sale (non il sodio come previsto in precedenza).

La dichiarazione nutrizionale presente sull’etichetta alimentare ci consente di sapere se l’alimento è ipocalorico (in assoluto o relativamente alla sua classe di appartenenza; per esempio una marmellata da 130 kcal/100 g è ipocalorica nell’insieme “marmellate” dove esistono esemplari da 250 kcal/100 g), se è glicidico (se contiene cioè molti carboidrati), proteico (molte proteine) o lipidico (molti grassi).

Errori grossolani – Purtroppo alcune dichiarazioni nutrizionali sono errate, per cui ci vuole un minimo di attenzione. Abbiamo trovato delle orecchiette alle cime di rapa surgelate da 57 kcal/100 g. Evidentemente si tratta di un errore poiché, anche considerando l’acqua assorbita dalla pasta, le poche calorie delle cime di rapa e condimento minimo (ipotesi un po’ azzardata visto che sono molto saporite), partendo dalle calorie della pasta (350 per 100 g) non si riesce a scendere sotto le 100 kcal. Realisticamente abbiamo calcolato che dovrebbero attestarsi sulle 120 kcal/100 g. Analogamente abbiamo trovato un risotto ai frutti di mare da 67 kcal/100 g con 1 g di carboidrati su 100 g di prodotto! Evidentemente assurdo, visto che il riso è un alimento molto ricco di carboidrati. Contattata la ditta produttrice, abbiamo avuto conferma dell’errore, corretto probabilmente con un altro errore: nei 100 g di prodotto ci sarebbero 51 (e non 1) g di carboidrati per un totale di 308 calorie. Visto le poche calorie dei frutti di mare, 308 calorie sono un’enormità (realisticamente dovremmo stare sulle 180, esagerando con i condimenti) poiché il riso è cotto e ha già assorbito acqua.

La prova del nove – Per fortuna tali errori sono rari e non sempre gli errori sono così macroscopici. Spesso i prodotti vengono leggermente modificati, si cambiano le calorie totali, ma non le quantità dei macronutrienti (o viceversa). È possibile però fare un’approssimata prova del nove. Se la dichiarazione nutrizionale è dietologicamente coerente dovrebbe risultare circa:

calorie totali (in kcal) = 4*(g proteine + g carboidrati) + 9 * (g grassi)

Una confezione di pasta surgelata con 8 g di proteine, 24 di carboidrati, 8 di grassi e 140 kcal è errata perché 4*(8+24)+9*8 dà 200, ben diverso da 140.

Da notare che alcuni prodotti dietetici usano polialcoli che sono carboidrati che apportano solo 2,4 kcal per g. Normalmente la quantità di polialcoli è indicata separatamente da quella dei carboidrati (come del resto le fibre che chimicamente sono carboidrati, ma che apportano circa 2 kcal/g).

Le tabelle delle calorie

Wilbur Atwater - tabelle delle calorieSembrerebbe tutto molto semplice, ma le cose non sono così facili come appaiono: il percorso per capire veramente il potere nutrizionale dei cibi è molto più complesso.

L’inizio attorno al 1890 – Alla fine del XIX sec. Wilbur Atwater iniziò a studiare il potere calorico dei cibi; per farlo bruciava un alimento nella bomba calorimetrica e ne misurava la quantità di calore prodotto. Nacque la prima tabella delle calorie. In questo suo lavoro e nel successivo percorso dei suoi colleghi si dovettero superare molti ostacoli.

I metodi per la determinazione della composizione dei cibi – Atwater dovette definire dei metodi per la determinazione di proteine e lipidi, spesso utilizzandone più d’uno, a seconda dell’alimento considerato. I carboidrati venivano determinati per differenza, togliendo cioè da 100 le frazioni di proteine, lipidi e ceneri. La precisione del metodo fu un primo scoglio da superare.

L’energia dai macronutrienti – Atwater si accorse subito che i vari macronutrienti avevano un contenuto energetico diverso, massimo per i lipidi e minimo per i carboidrati. Il discorso era complicato dal fatto che, a seconda del tipo di alimenti, macronutrienti uguali avevano contenuti energetici (per grammi) diversi (per esempio, nell’olio d’oliva i lipidi hanno 9,47 e l’olio di cocco 9,07; le proteine della carne hanno 5,65 e quelle degli ortaggi 5; anche i carboidrati hanno valori diversi: 3,75 il destrosio e 4,20 l’amido).

Altre fonti di energia – Si scoprirono facilmente altre fonti di energia, per esempio gli acidi organici e l’alcol (o i polialcoli, ancora meno calorici). Fra gli acidi organici notevole importanza riveste l’acido citrico (pensiamo al limone) e quello malico (contenuto nella mela, ma anche e soprattutto in altri frutti, come l’albicocca, in percentuali dall’1 al 3%). L’acido citrico apporta per esempio 2,47 kcal/g, mentre l’acido malico 2,39 kcal/g. L’alcol ben 7,07 kcal/g.

Il corpo umano non è un semplice forno passivo – I risultati della bomba calorimetrica devono essere corretti con l’impiego reale che l’organismo fa delle calorie potenzialmente a disposizione. Atwater introdusse diversi concetti che si possono riassumere nella digeribilità degli alimenti espressa come percentuale del totale a disposizione. Purtroppo ogni alimento ha una digeribilità diversa, essendo massima la varianza per le proteine. Infatti:

  • Proteine: si va dall’80% di quelle vegetali al 97% delle “migliori” proteine animali.
  • Lipidi: sono piuttosto stabili, intorno al 90% per i vari tipi.
  • Carboidrati: si va dal 90 al 98% circa.

Questi dati fanno diminuire i valori “chimici”, soprattutto per le proteine per le quali si deve poi tenere conto dell’incompleto loro utilizzo, dimostrato dal passaggio diretto nelle urine di una parte del loro metabolismo.

etichetta nutrizionale - tabelle delle calorieIl discorso esatto – Combinando i concetti di energia per macronutriente e digeribilità dello stesso, si potrebbe definire, per ogni alimento in esame, una terna che dà il contributo calorico reale delle proteine, dei lipidi e dei carboidrati contenuti nell’alimento. Ovviamente poi esiste la variabilità all’interno del singolo alimento: due mele di qualità diversa sono energeticamente diverse, come pure lo sono due mele della stessa qualità se una è acerba e l’altra è matura.

La prima approssimazione – Atwater stesso cercò di semplificare i suoi studi proponendo coefficienti identici per un singolo macronutriente di una classe di alimenti: per esempio 3,60 kcal/g per i carboidrati della frutta.

La seconda approssimazione – Un’ulteriore semplificazione è diventata sempre più comune, rendendo interi i coefficienti e riducendoli a tre, uno per ogni classe di macronutrienti: 4 kcal/g per i carboidrati, 9 kcal/g per i lipidi e 4 kcal/g per le proteine.

Il problema delle fibre – Le fibre sono carboidrati che nei conteggi di Atwater entravano a far parte dei “carboidrati per differenza”. Le fibre insolubili apportano poca energia perché non vengono metabolizzate dal nostro organismo, pertanto nei cibi molto ricchi di fibre (diciamo sopra il 10%) i calcoli di Atwater che usavano 3,60 per i carboidrati della frutta (invece di 4 per i glicidi più comuni) rischiavano comunque di essere sottostimati. Ciò ha portato a usare la seconda approssimazione di Atwater (4-9-4), togliendo però le fibre dai carboidrati.

Le due etichette – Si hanno nell’industria due tipi di etichetta nutrizionale.

La prima, fedele al modello originario di Atwater che praticamente studia alimento per alimento, ne fornisce il valore calorico senza approssimazioni eccessive (che si hanno quando si generalizzano i vari coefficienti) e continua a indicare i carboidrati per differenza e include in questi le fibre.

La seconda, più industriale, che usa la seconda approssimazione di Atwater e scorpora le fibre dai carboidrati, indicandole a parte. Dal 2012 in Europa si è tornati a esplicitare le fibre, di fatto arrivando a una terza approssimazione.

Questi diversi modi di indicare le calorie dei cibi hanno portato (per alcuni alimenti) a valori spesso approssimativi; attualmente esistono poche fonti di riferimento sicure, anche perché solo negli USA il problema è seguito in modo continuo ed efficiente. Infatti con l’aumento dell’obesità e del sovrappeso, fin dal 1947 negli USA esiste un comitato per la determinazione dell’esatto valore nutrizionale dei cibi; i primi frutti si sono avuti fin dal 1973 (Merrill, A.L. and Watt, B.K. 1973. Energy Value of Foods – Basis and Derivation. Agriculture Handbook No. 74. U.S. Government Printing Office. Washington, DC. 105p), ma solo a fine secolo si sono consolidate le differenze con le posizioni classiche di chi usa la seconda approssimazione di Atwater.

La differenza non è sensibile per tutti quegli alimenti che

  1. sono poco ricchi di fibre (e sono la stragrande maggioranza);
  2. non hanno subito notevoli variazioni nel tempo.

MeloneIl secondo punto può sembrare scorrelato dal discorso finora fatto, ma se si usa la semplice seconda approssimazione di Atwater si prescinde dallo studio dell’alimento in sé, fidandosi spesso di quello che si trova nella letteratura precedente, il calcolo calorico diventa quasi “matematico”. In realtà, per avere dati esatti è spesso necessario ripetere tutto il percorso di Atwater.

Le differenze più sensibili si trovano soprattutto nella frutta, con valori decisamente in eccesso rispetto a quelli dei testi classici europei (e soprattutto italiani).

Non a caso esiste una profonda differenza fra le tabelle usate in Italia (per esempio quelle dell’INRAN) e quelle americane (che per molti alimenti trovate nel nostro sito) che sono molto più vicine alla realtà commerciale.

L’esigenza commerciale di avere frutta sempre più appetibile (e quindi sempre più zuccherina) ha infatti portato sul mercato prodotti molto più calorici di quelli standard descritti nei manuali di nutrizione. Il risultato è che chi segue diete troppo ricche di frutta conteggiandola “da manuale” assume un quantitativo calorico superiore anche del 50%.

Un esempio è rappresentato dalle arance per le quali il dato italiano (INRAN) è di 34 kcal/100 g mentre il dato americano è di 49 kcal/100 g. Nei supermercati italiani le arance che hanno etichetta nutrizionale sono attorno alle 45-50 kcal/100 g.



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