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Nutrigenomica e nutrigenetica

Nutrigenetica e nutrigenomica sono due termini di relativamente recente introduzione e comunque non ancora molto noti al grande pubblico. Prima di addentrarci nel vivo dell’argomento riteniamo quindi opportuna una breve premessa.

L’alimentazione ha un impatto importante su diversi aspetti della nostra vita e ha notevoli risvolti psicologici e socio-culturali. Recenti tecnologie di biologia molecolare hanno mostrato una correlazione tra cibo e DNA: non solo è stato possibile validare scientificamente la constatazione empirica che persone diverse rispondono in modo molto diverso ad alimenti uguali, ma si è visto che i cibi possono addirittura modificare il nostro DNA e l’espressione di alcuni geni.

La scienza che studia i rapporti tra il patrimonio genetico, il genoma, e la variabilità interindividuale ai cibi è la nutrigenetica (anche genetica nutrizionale), un termine introdotto da Brennan nel 1975* (Nutrigenetics: New Concepts for Relieving Hypoglycemia, New York: M Evans Inc), mentre la disciplina che si occupa di studiare correlazioni tra alimenti e modifiche del DNA è la nutrigenomica (anche genomica nutrizionale). Nei successivi paragrafi descriveremo brevemente questi due relativamente nuovi e promettenti campi della medicina.

Nutrigenetica

Nutrigenomica e nutrigeneticaIl fatto che diverse persone reagiscano in modo differente al cibo è esperienza comune a tutti. Capire però come queste differenze interindividuali siano geneticamente definite è stata una sfida della biologia molecolare e della biostatistica contemporanee. Dati provenienti da screening genetici su larghissima scala definiti GWAS (Genome-Wide Association Studies) hanno evidenziato che la presenza di particolari varianti geniche (definite SNPs, Single Nucleotide Polymorphisms) è associata alla predisposizione a diverse malattie tra cui diabete, patologie autoimmunitarie e addirittura alcune forme di cancro. Un esempio molto studiato è la variante “termosensibile” dell’enzima metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR), un enzima coinvolto nella sintesi dell’acido folico. La presenza di questa variante è fortemente correlata all’accumulo nocivo di omocisteina (iperomocisteinemia), un metabolita che se presente in eccesso può provocare danni a vasi sanguigni aumentando indirettamente l’incidenza di malattie cardiovascolari.

Un altro caso in cui la variabilità inter-individuale ha degli effetti importanti sulla salute è quello delle ipercolesterolemie. Per anni si è saputo che non esiste una chiara associazione tra la quantità di colesterolo assunto con la dieta e la concentrazione plasmatica di colesterolo. Questa variabilità sembra essere dovuta alla presenza di una variante di apolipoproteina E (apoE), una proteina coinvolta nel metabolismo dei grassi e del colesterolo. Sembrerebbe che, a parità di grassi introdotti con la dieta, le persone con la variante E4/4 accumulino più colesterolo di quanto non accada alle persone con la variante E2/2 di questa proteina.

Oltre a questi casi, dove la correlazione tra variante genica e malattia è ancora da stabilire con certezza, esistono esempi di disfunzioni enzimatiche che causano intolleranze alimentari o malattie metaboliche più pericolose come la celiachia o la fenilchetonuria (una patologia genetica abbastanza rara provocata da mutazioni del gene deputato alla biosintesi della fenilalanina idrossilasi, l’enzima che converte la fenilalanina in tirosina).

Nutrigenomica

Nutrigenomica e nutrigeneticaSe da un lato, come abbiamo illustrato nel paragrafo precedente, il nostro corredo genetico regola la risposta individuale al cibo di cui ci nutriamo, sta emergendo che il cibo può cambiare in modo significativo l’espressione genica. Recenti esperimenti hanno dimostrato, per esempio, che sia il colesterolo che i grassi assimilati con la dieta hanno un profondo effetto sulla regolazione dell’espressione di geni coinvolti nel metabolismo dei grassi, suggerendo che ciò che mangiamo può controllare il modo in cui digeriamo i cibi stessi. I nutrienti possono controllare l’espressione di geni non direttamente associati al metabolismo: per esempio, i carboidrati controllano l’espressione genica di geni coinvolti nella risposta allo stress cellulare. Ma come fanno i cibi a controllare l’espressione genica? La regolazione dell’espressione genica può avvenire attraverso tre meccanismi: metilazione degli istoni, metilazione del DNA e microRNA. È stato dimostrato che i cibi possono influenzare tutti e tre questi parametri. La metilazione consiste nell’aggiunta di particolari gruppi funzionali (metile) a DNA e proteine e questo ha un effetto indiretto nel controllare l’attività della DNA polimerasi coinvolta nella trascrizione dei geni. La disponibilità di gruppi metile è quindi un parametro critico per controllare l’espressione genica. Diversi macro- e micronutrienti sono coinvolti nel fornire “gruppi metile” alla cellula e tra questi ricordiamo il folato, la vitamina B12, la colina, la metionina e la treonina. Appare quindi evidente come la nutrizione sia indissolubilmente associata all’espressione genica. Attualmente questa branca della genomica nutrizionale cerca di capire come i diversi cibi possano predisporre a malattie come Alzheimer e cancro con lo scopo ultimo di generare cibi “funzionali” che attivino o blocchino particolari geni. Un esempio è il “superbroccolo”, una tipologia di broccolo con alto contenuto di glucorafanino, una molecola con attività cardioprotettiva. Oltre a questo esempio, una varietà di cibi addizionati di vitamine e micronutrienti è già disponibile in commercio da anni.

E il futuro?

Cosa ci si può aspettare dal futuro? Il medico dovrà essere consapevole della presenza di una intrinseca variabilità genetica interindividuale e potrà utilizzare queste informazioni per identificare subpopolazioni a rischio e adottare cure farmacologiche personalizzate. Per adesso, i benefici della nutrigenetica stanno iniziando a farsi vedere: per esempio, alcuni tipi di diete vengono utilizzate specificamente per pazienti con malattie metaboliche come la fenilchetonuria o epilessia (in questo caso si usa la dieta chetogenica. Molti cibi, definiti cibi funzionali, arricchiti di vitamine o particolari componenti come acidi grassi polinsaturi sono in programma per malattie autoimmuni. Bisognerà capire se il rapporto tra costi e benefici sarà favorevole e se, una volta individuate certe problematiche, le persone saranno disposte ad accettare regimi alimentari specifici.

Nutrigenomica e nutrigenetica: il commento di Roberto Albanesi

Non condivido del tutto l’ottimismo dei ricercatori. La ricerca ha recentemente mostrato che i cibi possono modificare il nostro DNA e l’espressione di alcuni geni e, in senso inverso, alcune anomalie genetiche possono provocare una risposta negativa a un determinato tipo di alimentazione. Resta invece una deduzione arbitraria il sostenere che dal patrimonio genetico si possa definire la miglior alimentazione possibile per il singolo soggetto (una posizione su cui sta nascendo un fiorente business): in altri termini, dato un patrimonio genetico “sano”, non c’è oggi ragione di credere che ci si debba orientare ad alcuni cibi piuttosto che ad altri, se l’alimentazione rispetta gli attuali canoni di salubrità ed equilibrio. Ci sono proposte poco scientifiche nelle quali, per la “modica” somma di un migliaio di euro, con test e kit opportuni, si può stabilire cosa mangiare, in modo da non ingrassare pur non rinunciando a nulla, come non ammalarsi di questa o quella malattia fino praticamente a raggiungere l’immortalità!

In altri termini, non bisogna fare confusione fra eventuali aspettative della ricerca e cosa si è effettivamente scoperto. Gli stessi ricercatori riconoscono che per il momento solo studi su patologie importanti possono giustificare un investimento economico sulla nutrigenetica e che, dal punto di vista puramente sperimentale, è molto più difficile documentare delle variazioni della risposta al cibo su base genetica su soggetti sani (in assenza di patologie conclamate), dove i parametri da valutare  potrebbero essere innumerevoli e la complessità più elevata.

Per esempio, nei soggetti sani si sa che esiste una variabilità all’assunzione calorica del cibo (variazione del k nella dieta italiana), ma tale variazione è veramente piccola e praticamente (cioè per la lotta al sovrappeso) appare inutile scoprire le sue diverse cause: anche se un giorno si trovasse che il patrimonio genetico di una persona sana può causare una variabilità massima del 10% nella risposta all’assunzione calorica (cioè presi N individui con le stesse caratteristiche tutti mantengono lo stesso peso con un apporto calorico compreso fra  1.900 e 2.100 kcal), sapere dal mio genoma che io lo mantengo con 1.948 o con 2.036 è solo una curiosità che può essere scoperta empiricamente anche oggi pesandomi tutti i giorni e verificando la quantità di calorie assunte.

Crediti

Dott. Christian Frezza

Group leader presso

Hutchison/MRC Research Centre Hills Road

Cambridge CB2 0XZ

https://www.mrc-cu.cam.ac.uk/research/Christian-frezza-folder

christian.frezza@gmail.com

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