La dieta italiana è un modello alimentare pratico, ma scientifico. Come tutti i modelli definiti scientificamente non può fare a meno di numeri e percentuali, rischiando di diventare ortoressica, anche se in misura molto minore di altri modelli (dieta a zona). Del resto un approccio non numerico è, dal punto di vista salutistico, destinato al fallimento (dieta mediterranea). È pertanto importante conciliare un certo rigore scientifico con l’assenza di ogni forma di maniacalità e in questo articolo vedremo come fare.
I dati numerici
I principali dati numerici che la dieta italiana tratta sono:
- le calorie assunte giornalmente
- la ripartizione dei macronutrienti
- la percentuale dei grassi saturi sul totale dei grassi (circa un terzo dei grassi, cioè il 10% delle calorie totali).
Per gestirli è necessario conoscere sia la quantità (peso) dei cibi che i valori nutrizionali. Occorre anche capire come si calcolano le calorie dei cibi sfusi non cucinati, dei cibi cotti e di quelli elaborati (ricette). La teoria di questi ultimi calcoli viene spiegata nella Lezione 4 de Il Metodo Albanesi. Il punto fondamentale di tutte le considerazioni numeriche è però legato a due problemi principali: ottenere le quantità ed eseguire i calcoli.
La quantità: l’occhio da salumiere
L’impiego della bilancia da cucina sarà sicuramente facile per chi è già abituato a pesare gli ingredienti di prelibate ricette. Potrebbe essere invece noioso o addirittura psicologicamente pesante per chi non è abituato a cucinare e vede nella bilancia un gravoso strumento attraverso il quale devono passare la sua coscienza alimentare e la sua salute. Se si è fra questi, non ci si deve spaventare, la bilancia può essere come le ruote posteriori di supporto di una bicicletta per bambini: appena s’imparerà a stare in equilibrio verranno tolte.
Si osservi infatti l’abilità con cui un salumiere o un fruttivendolo scelgono la merce da pesare in risposta a una richiesta di un cliente, per esempio per due etti di formaggio o per un chilo di arance. Vanno a occhio e, se sbagliano, è sempre di una piccola quantità in eccesso, un piccolo e innocente trucco commerciale per vendere un po’ di più.
Nella prima fase con la bilancia, si dovrà dunque diventare un aspirante salumiere o un aspirante fruttivendolo; si peserà tutto e s’imparerà a farlo a occhio. Questa abilità non è necessaria, nel senso che si potrebbe usare la bilancia pesaalimenti per sempre, ma è un gioco che vale la pena provare perché alla lunga utilissimo.
Non si deve spaccare il grammo, ma avvicinarsi abbastanza al peso delle porzioni che normalmente si usano nella propria alimentazione. Un buon trucco è di partire da confezioni di cui si conosce il peso totale e valutare quale porzione è stata separata: se una confezione di ricotta pesa 250 g, un terzo sarà circa 80 g.
In genere basta una settimana di esercizio per diventare veramente bravi.
I calcoli: il periodo di prova
In genere è possibile eseguire i calcoli a mano, con l’ausilio di una calcolatrice o di un più sofisticato foglio di calcolo come Excel. Nella lezione 6 de Il Metodo Albanesi è indicato un metodo di ottimizzazione dei calcoli nella giornata in modo che siano il meno pesanti possibile.
Se le quantità si possono velocemente imparare a gestire a occhio, con i calcoli, a meno di non possedere una mentalità molto matematica, è veramente difficile fare a meno di strumenti appositi.
Ciò è necessario soprattutto nel primo periodo in cui si vuole cambiare stile alimentare e, spesso, si vorrà dimagrire.
Una volta raggiunto il peso forma, il controllo del peso potrà farsi periodicamente e si potrà adattare l’alimentazione (in più o in meno) a seconda delle variazioni dello stesso, gestendo i calcoli delle calorie assunte in modo anche grossolano (per esempio se nella giornata devo assumere 2.000 kcal, posso scalare le calorie dei vari cibi assunti fino ad arrivare a zero a sera). Più difficile il controllo dei macronutrienti e dei grassi saturi, perché in questo caso i conti sono molto più complessi che non il semplice calcolo delle calorie introdotte. Per questi controlli ci viene in aiuto il concetto di omeostasi.
L’omeostasi è quell’attitudine per cui un organismo tende a mantenere in stato di equilibrio le proprie caratteristiche al variare delle condizioni esterne.
Se siamo abituati a mangiare salato, un cibo insipido non sarà molto appetibile, mentre, dopo che abbiamo perso questa abitudine, un cibo salato sarà per noi intollerabile. In genere la variazione (meno sale) sarà avvertita come un fattore avverso, salvo poi diventare la normalità dopo il giusto tempo di adattamento.
Per la ripartizione dei macronutrienti il periodo di prova nel quale i calcoli sono molto precisi serve appunto a forzare la variazione. Se per esempio mangiavamo troppi carboidrati, ci forziamo a mangiarne di meno. Dopo un tempo variabile da qualche settimana a qualche mese, la nuova variazione sarà stata memorizzata dal nostro corpo e, se tentassimo di abbuffarci di carboidrati, avremmo una certa repulsione. Idem dicasi per i grassi o le proteine. In sostanza, dopo qualche mese, se abbiamo imparato ad alimentarci secondo una corretta ripartizione dei macronutrienti, ecco che naturalmente il nostro corpo cercherà di rispettarla, mandandoci stimoli che tendono a soddisfarla. È ovvio che il periodo necessario per il nuovo equilibrio sarà tanto più breve quanto meno punitivamente avremo avvertito il cambiamento durante il periodo di prova.
È stato comunque rilevato che anche chi continuava a sognare i dolci, dopo sei mesi di una dieta povera di carboidrati, ne assumeva naturalmente fino al 50% in meno.