La dieta metabolica è un regime alimentare iperlipidico, iperproteico e ipoglicidico creato da Mauro G. Di Pasquale, un medico canadese di origine italiana. La sua opera di riferimento relativa a questo regime dietetico risale all’anno 2000 (The Metabolic Diet: The revolutionary diet that explodes the myths about carbohydrates and fats).
Di Pasquale è autore di molti altri libri tra i quali ricordiamo Drug use and detection in amateur sports (1984), The Anabolic Diet (1995) e Amino Acids and Proteins for the Athlete – The Anabolic Edge (1997).
Come nel caso di altri regimi alimentari venuti alla luce nell’ultimo ventennio, anche la dieta metabolica promette il raggiungimento di notevoli obiettivi in un periodo di tempo decisamente breve. Questo “innovativo” regime alimentare è diventato nel giro di pochi anni alquanto popolare nel sempre molto ricettivo mondo del body building dove la prassi di alternare periodi di carico e periodi di scarico glicidico è cosa usuale, in particolar modo nei periodi in cui si presta una particolare attenzione alla definizione muscolare ovvero quando siamo in vista delle competizioni.
Dieta metabolica – Caratteristiche
La dieta metabolica inizia con il cosiddetto periodo di prova, periodo che si protrae per circa un mese di tempo. Scopo fondamentale del periodo di prova è scoprire la quota di glicidi necessaria affinché l’organismo funzioni in modo ottimale.
Il periodo di prova della dieta metabolica è caratterizzato da una netta riduzione dell’apporto di glicidi (i carboidrati). Il periodo di prova viene suddiviso in periodi di 12 e 2 giorni. Quello di 12 giorni viene definito periodo di scarico (forte riduzione dell’apporto glicidico e notevole apporto di lipidi), quello di 2 giorni viene invece definito periodo di carico (notevole apporto glicidico).
Scopo di questo approccio è quello di insegnare all’organismo a soddisfare le sue richieste energetiche bruciando i grassi.
Durante la fase di scarico la (allucinante) ripartizione dei macronutrienti è la seguente:
50-60% lipidi, 30-50% proteine, 30 g di carboidrati.
Nella fase di carico la ripartizione è invece la seguente:
35-55% carboidrati, 25-40% lipidi, 15-30% proteine.
Nel caso che nella fase di scarico il soggetto avverta notevoli stanchezza e affaticamento o altri problemi, sono previste dalla dieta metabolica diverse soluzioni affinché i disagi che si provano scompaiano completamente. Sostanzialmente si tratta di aumentare gradualmente l’apporto di carboidrati fino a che la sintomatologia indesiderata non scompare. Dopo che il soggetto sente di aver identificato con certezza la sua quota ideale di apporto glicidico, si può passare alla seconda fase della dieta metabolica.
Secondo i piani di Di Pasquale, grazie a questo periodo di prova previsto dalla sua dieta metabolica, l’organismo del soggetto è ormai in grado di bruciare i grassi nel modo più efficiente; allo scopo di mantenere questa importante caratteristica è necessario a questo punto impostare il proprio regime alimentare alternando 5 giorni di scarico a 2 giorni di carico; la ripartizione dei macronutrienti deve essere ovviamente quella individuata con il periodo di prova.
Il periodo di prova della dieta metabolica è caratterizzato da una netta riduzione dell’apporto di glicidi (i carboidrati).
Un giudizio
Difficile definire equilibrato un regime alimentare come la dieta metabolica. Come spesso accade con le diete che vengono definite “rivoluzionarie”, ci si trova di fronte all’esasperazione di determinati concetti.
La dieta metabolica porta per esempio all’estremo il concetto che la deplezione di glicogeno forzi l’organismo a consumare grassi e proteine favorendo il dimagramento. L’aumentato apporto di proteine dovrebbe far sì che il soggetto si senta sempre sazio, anche se in realtà sta assumendo un quantitativo limitato di calorie.
A questo punto ci sembra opportuno fare qualche riflessione sui punti più critici che caratterizzano questo particolare regime alimentare.
L’imposizione di assumere 30 grammi di carboidrati al giorno è una richiesta che ha dell’allucinante. Un soggetto sano del peso standard di 70 kg deve avere un introito di glucosio 6 volte superiore a quello imposto dalla dieta metabolica se si vuole che l’organismo funzioni a dovere (qualcuno dovrebbe ricordare al dottor Di Pasquale che l’organismo dell’uomo ha una certa necessità di glucosio…). Negare l’apporto minimo di glucosio, così come fa la dieta metabolica, costringe l’organismo a un superlavoro per ricavare glucosio da proteine e lipidi. Un soggetto che volesse intraprendere un’attività fisica a livello medio-alto durante la fase di scarico lo troverebbe praticamente impossibile.
In caso di forzata carenza glicidica, l’organismo umano ricorre ai corpi chetonici per garantirsi la sopravvivenza; certo, sopravvivrà, ma tale forzatura non è certo scevra da effetti collaterali (notevole stanchezza, nausea, vomito, cefalea ecc.).
Un altro punto critico della dieta metabolica è lo scarsissimo apporto di fibre alimentari; per quanto sia vero che un eccessivo apporto di fibre è sicuramente dannoso, lo stesso può dirsi quando si estremizza in senso opposto.
Altro problema: il periodo di prova serve a trovare “il giusto quantitativo di carboidrati”, quello che gli consente di non avvertire disturbi; esiste però il fondato rischio che un soggetto non particolarmente dotato di forza di volontà sia portato a innalzare la quota glicidica non appena avverte il minimo disturbo, inficiando di fatto i presupposti su cui si basa la dieta metabolica.
Si deve inoltre ricordare che il quantitativo di 30 g giornalieri vale per tutti a prescindere dalle inevitabili variabilità soggettive (peso, altezza, attività svolta ecc.).
E che dire poi degli sbalzi insulinici cui viene sottoposto l’organismo a causa della squilibrata gestione della ripartizione dei macronutrienti? Insomma, la dieta metabolica è un regime alimentare da dimenticare…
La bocciatura per punti della dieta metabolica
1) Di Pasquale è ancora legato al concetto di struttura robusta e indica (“un metodo semplice di stima del peso corporeo ideale”) un peso di 72 kg come peso normale per un uomo di 170 cm se ha la struttura grande, cioè in base alla circonferenza del polso. Non considera se è muscoloso o no: siamo insomma alla preistoria di scienza dell’alimentazione. Tali posizioni verrebbero criticate aspramente da chi ha una visione moderna.
2) È vero che se il corpo si abitua a bruciare i grassi potrà funzionare bene e, forse più a lungo, di chi usa solo carboidrati: ma funzionerà a un regime di giri inferiore. Ciò è dimostrato in maniera netta e inconfutabile dai maratoneti: nessun maratoneta a livello mondiale (a prescindere da quanto a lungo riesce a correre) ottiene il proprio record personale in situazione di glicogeno non ottimale. Cioè, un conto è correre a lungo e un conto è correre a lungo e forte! Ovviamente alla parola “correre” si può sostituire la parola “compiere un gesto atletico” e alla parola “forte” si può sostituire “intensamente”.
3) La prima fase della dieta, la fase di valutazione, è molto approssimativa, perché indica solo percentuali e quantità massime (30 g di carboidrati), ma senza nessuna relazione con il peso o la massa grassa del soggetto. Che senso ha? Già questo è un errore gravissimo che indica come il cercare semplificazioni sia contrario al buon senso.
4) Il carico dei carboidrati è una metodica proposta già nel 1967 da Saltin ed Hermansen per i maratoneti. Nell’ultimo decennio si è visto che è una situazione molto ottimistica, cioè non funziona. Infatti ognuno di noi ha un livello massimo di carboidrati stoccabile che dipende dalla dieta e dall’allenamento. In particolare in un soggetto normale tale carico massimo non supera le 30*P kcal (dove P è il peso): in un soggetto di 60 kg si hanno 1.800 kcal che è una quantità veramente bassa (450 g di carboidrati) rispetto alle abbuffate di carboidrati che propone Di Pasquale nei week-end del periodo di valutazione.
5) La successiva fase di aggiustamento è lasciata completamente alle sensazioni del soggetto: non si parla mai di fabbisogno calorico giornaliero e di come calcolarlo, ma solo di ripartizione dei macronutrienti. Se bastasse sentirsi bene per dire di seguire un’alimentazione corretta, molte persone sovrappeso mangerebbero benissimo!
6) Di Pasquale dice: “mangiare quando si ha fame è più naturale. È il modo in cui molte persone fanno funzionare questa dieta al meglio. Tutti abbiamo una voce dell’istinto che ci dirà quando mangiare, e questa voce può diventare molto insistente. Ascoltatela e fate quello che dice”. Mangiare quando si ha fame è il modo migliore per ingrassare e ciò è dimostrato dai milioni di americani, italiani, tedeschi che sono sovrappeso perché, appena hanno fame, mangiano.
La dieta è un solo tentativo mal riuscito di trovare spazio e visibilità nel mondo dei modelli alimentari.
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